Una legge ridurrà drasticamente il numero dei lavoratori stranieri. Fissate le quote in base a nazionalità. Intanto, Amnesty denuncia: “Nonostante le leggi, in Qatar i lavoratori domestici continuano a subire abusi”
della redazione
Roma, 21 ottobre 2020, Nena News – Una nuova legge per ridurre drasticamente entro un anno il numero dei lavoratori stranieri: è quanto ha stabilito ieri all’unanimità il parlamento del Kuwait. A riportare la notizia è l’emittente Bloomberg. Quella degli stranieri è una questione centrale nel piccolo Paese del Golfo se si pensa che l’immigrazione di lavoratori qualificati e non nel corso dei decenni ha fatto sì che il loro numero raggiungesse gli attuali 3,4 milioni sui 4,8 complessivi della popolazione. Oltre a far diminuire la presenza straniera, la legge prevedrà anche una serie di procedure che mirano a dare più impieghi a chi ha la cittadinanza kuwaitiana (solo il 30% della popolazione). Alla base della decisione di ieri del parlamento ci sono le conseguenze del Coronavirus che, portando ad una diminuzione dei prezzi del petrolio, ha di fatto messo in crisi l’economia nazionale.
La crisi, aumentando la disoccupazione, ha fatto aumentare la domanda interna per maggiori posti di lavoro per soli kuwaitiani a discapito degli stranieri. Già a giugno il premier kuwaitiano aveva proposto per gli expat il limite massimo del 30% rispetto alla popolazione complessiva. A luglio poi l’Assemblea nazionale ha passato una legge, che dovrebbe entrare in vigore questo mese a poche settimane dalle elezioni parlamentari fissate per novembre, secondo la quale gli indiani (1,45 milioni, il 30% della popolazione) non dovranno raggiungere il 15% dei residenti totali del Paese. Ma ogni nazionalità di lavoratori stranieri ha la sua quota da rispettare: ad esempio egiziani, filippini e cingalesi, non dovranno superare il limite del 10% a testa. Bengalesi, pachistani, nepalesi e vietnamiti invece non più del 5%.
Non solo: la legge impone anche un numero limite di stranieri che un’azienda può reclutare ogni anno in base alle loro specializzazioni. Tradotto numericamente queste disposizioni costringeranno circa 800.000 persone a lasciare il Paese in quello che sarà un vero e proprio esodo coatto di massa. Ma le conseguenze economiche del Coronavirus hanno portato a situazioni simili anche in altri paesi della regione: secondo uno studio della Jadwa Investment company, ad esempio, in Arabia Saudita si ritiene che circa 1,2 milioni i lavoratori stranieri potrebbero ritornare nei loro stati.
Il problema però è anche di chi resta a lavorare nei Paesi del Golfo. E’ il caso dei lavoratori domestici in Qatar che, denuncia Amnesty International in un rapporto pubblicato l’altro giorno, continuano a subire abusi nonostante Doha abbia introdotto nel 2017 una legge che limita le ore di impiego, introducendo pause giornaliere obbligatorie e garantendo un giorno di riposo a settimana e ferie pagate per chi lavora nelle case dei loro datori di lavoro. Gli abusi, scrive Amnesty, derivano da una serie di fattori: mancanza di controlli e soprattutto gli aspetti del “sistema dello sponsor” (conosciuta come “Kafala”) attivo nella regione (ma anche in Libano) che dà “ai datori di lavoro un eccessivo potere sugli impiegati”.
Secondo la ong britannica, la forma più comune di violazione dei diritti che è emersa è quella rappresentata dall’obbligo di lavorare oltre il limite legale delle 10 ore al giorno per sei giorni a settimana. Alcune lavoratrici lamentano offese verbali e abusi fisici. Una donna ha raccontato ad Amnesty di aver ricevuti sputi e calci sulla schiena dal suo datore di lavoro. Qualcosa di ancora ben più grave sarebbe invece capitato a cinque donne che denunciano di aver subito molestie sessuali (dal palpeggiamento allo stupro). “Se il Qatar vuole proteggere i lavoratori domestici dallo sfruttamento – ha detto Steve Cockburn, il capo di Amnesty per giustizia sociale ed economica – deve mandare un forte messaggio: gli abusi non sono tollerati”. “Invitiamo pertanto le autorità locali – ha aggiunto Cockburn in un comunicato – a compiere passi seri per garantire una piena implementazione della legge che garantisca severi meccanismi di controllo e compia passi seri contro i datori di lavoro violenti”.