Diffuso il rapporto di Human Rights Watch sulle violazioni dei diritti della donna perpetrate dai tribunali religiosi, gli unici preposti alla gestione di divorzio, custodia dei figli ed eredita': invece di assicurare la giustizia, perpetuano l’inferiorità della donna in ogni ambito
della redazione
Roma, 20 gennaio 2015, Nena News - Discriminate per legge, di qualunque setta esse siano. Sottomesse al volere di corti religiose composte solo da uomini, che spesso accettano e perpetuano una violenza tra le mura domestiche che ha pochi eguali nel mondo arabo. Le donne libanesi intervistate da Human Rights Watch appaiono tutte schiave di un sistema arcaico, che decide per loro in materia di divorzio, eredita’ e custodia dei figli, in mancanza di un codice civile che se ne occupi. Di statuti personali ce ne sono 15, tante quante sono le confessioni religiose del Paese dei Cedri, e secondo la Costituzione ogni comunità ha il diritto di gestire da sola i propri affari, che da troppo tempo sono materia esclusivamente religiosa.
Il rapporto di 114 pagine dal titolo “Diseguali e non protetti: i diritti delle donne sotto le leggi religiose dello statuto personale libanese”, pubblicato ieri da Human Rights Watch, mostra come le donne, che siano musulmane sciite o cristiane ortodosse, siano tutte soggette al volere dei tribunali religiosi autonomi che, “con poca o nessuna sorveglianza da parte del governo spesso emettono sentenze che violano i diritti umani delle donne”.
Il divorzio, per esempio, e’ un diritto quasi esclusivamente maschile: sciite e sunnite, stando al rapporto, hanno un accesso limitato alla separazione definitiva dal coniuge, mentre gli uomini “hanno il diritto unilaterale e illimitato di pronunciare il divorzio, con o senza causa”. Stessa storia per le donne druse, i cui mariti possono ottenere la separazione con o senza causa. I cristiani invece, per i quali il divorzio e’ vietato, assistono comunque a casi che concedono a un uomo più motivi per ottenere un divorzio o un annullamento.
Un’altra questione spinosa e’ quella della gestione dell’eredita’ o degli alimenti in caso di divorzio: dal momento che “la legge libanese non riconosce il concetto giuridico di proprietà coniugale”, la donna che divorzia dovrà affrontare gravi conseguenze finanziarie, perche’ “la proprietà torna al coniuge nel cui nome si è registrato (in genere il marito), a prescindere da chi vi abbia dato un contributo”.
Altre questioni comprendono la violenza domestica, una vera e propria piaga sociale in Libano, contro cui le associazioni per i diritti umani si battono da anni. Una mobilitazione vera e propria c’e’ stata lo scorso anno quando, all’ennesima donna brutalmente uccisa dal marito, il governo e’ stato costretto da massicce manifestazioni a passare in fretta una legge contro la violenza domestica che pero’, secondo l’Ong Kafa, non e’ sufficiente: la violenza sessuale coniugale non è stata assimilata allo stupro, così come invariate sono rimaste le disposizioni in materia di custodia dei minori che, in caso di donna vittima di abusi, restano comunque quelle previste dallo statuto di famiglia della sua confessione di appartenenza, e quindi vengono affidati al padre.
Proprio questo punto e’ il più controverso, dal momento che le disposizioni dello statuto personale libanese violano la Convenzione sui diritti dell’infanzia, allontanando il figlio dallas madre vittima di abusi per darlo alle cure del padre violento. “Abbiamo intervistato donne che sono rimaste in matrimoni violenti, hanno rinunciato ai loro diritti monetari, e non si sono risposate per poter mantenere la custodia primaria dei loro figli nel caso in cui i giudici non avessero considerato l’interesse superiore del bambino”. Nena News