8 MARZO. All’ottenimento di un’occupazione che permette di mantenere la famiglia in patria corrispondono condizioni di vita umilianti che inducono molte a tentare la fuga dal datore di lavoro e dal paese di migrazione
di Francesca La Bella
Roma, 8 marzo 2017, Nena News - La percentuale di donne lavoratrici nei paesi del Golfo è molto alta. Secondo alcuni studi, però, per quanto l’accesso all’istruzione delle donne in questi paesi sia significativamente al di sopra della media regionale, la partecipazione al mondo del lavoro rimane limitata. Vincoli sociali e religiosi impediscono a molte donne di Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti o Qatar di trovare un impiego, in particolar modo nel settore privato. L’alta percentuale di impiego femminile è dovuta perlopiù all’ingente afflusso di manodopera straniera, soprattutto nel settore domestico.
La vita di queste donne provenienti principalmente dal sud-est asiatico (e dall’Africa anche se in percentuali minori) è difficile e piena di contraddizioni. Giunte dopo un lungo viaggio a Dubai, principale porto di arrivo, le donne vengono “comprate” da agenti locali e portate via terra in Oman o in Arabia Saudita, spesso senza documenti per l’ingresso.
Le lavoratrici diventano inesistenti per il sistema pubblico dei paesi di arrivo, rimanendo totalmente dipendenti dal datore di lavoro e impossibilitate a chiedere aiuto ufficiale in caso di abusi e violenze. Anche coloro che riescono ad ottenere un contratto regolare e permessi di soggiorno validi rischiano di essere intrappolate in un sistema di sfruttamento.
Il rapporto di lavoro in ambito domestico, tradizionalmente percepito come una questione interna alla famiglia, è scarsamente normato e le leggi generali sul lavoro non si estendono, nella maggioranza dei casi, a questo settore. Secondo quanto dichiarato da Rafeek Ravuther, direttore del Centro Studi sulla Migrazione Indiana (CIMS), la sua organizzazione avrebbe ricevuto solo da aprile a dicembre 2016 più di 50 denunce da parte di lavoratrici indiane impiegate nei diversi paesi del Golfo.
La condizione delle donne donne lavoratrici nei paesi del Golfo è, dunque, particolarmente critica. Secondo quanto riportato in un rapporto (pubblicato a luglio 2016 e focalizzato sull’Oman) di Human Right Watch, la confisca del passaporto, anche se formalmente illegale, è una pratica comune nei confronti dei lavoratori domestici migranti.
Molte delle lavoratrici intervistate hanno dichiarato di aver subito abusi di varia natura: violenze fisiche e verbali, stipendi non pagati, orari di lavoro eccessivamente lunghi, mancanza di giorni di riposo, impossibilità di comunicare con l’esterno e con la propria famiglia. La scelta di denunciare alle autorità gli abusi alle autorità locali è, poi, risultata pressoché inutile e i soggetti sono stati rimandati alle famiglie di accoglienza o alle agenzie di reclutamento.
All’ottenimento di un’occupazione che permette di mantenere la famiglia in patria spesso corrispondono condizioni di vita umilianti che inducono molte a tentare la fuga dal datore di lavoro e dal paese di migrazione. L’allontanamento può avere, però, gravi conseguenze per la vita della lavoratrice. Numerosi report di agenzie internazionali evidenziano la diffusione di casi di violenza fisica perpetrata contro donne che avevano deciso di lasciare il proprio lavoro, ma le problematiche nascono anche dalla stessa normativa relativa al lavoro domestico.
Se il datore di lavoro segnala la fuga della dipendente, quest’ultima, priva della garanzia dello sponsor locale, può essere arrestata o deportata nel proprio paese. Anche qualora il padrone scegliesse di non denunciare l’allontanamento, la lavoratrice non ha la possibilità di trovare un nuovo lavoro data la necessità del permesso del precedente datore di lavoro per accedere ad un nuovo impiego. Alle donne che si trovano in questa situazione rimane, così, l’accesso alla sola economia informale o al mondo della prostituzione. Nena News
Francesca La Bella è su Twitter @LBFra