Da luglio a oggi il governo turco ha allontanato per sospetti legami con l’Organizzazione terroristica di Fethullah Golen (FETO) migliaia di persone da ogni ministero e agenzia statale. Una repressione che non sembra destinata a placarsi: negli ultimi giorni le purghe di Ergodan hanno colpito anche chi ha presunti rapporti con il Pkk
di Francesco Pongiluppi
Roma, 13 settembre 2016, Nena News – In Turchia non si placa l’ondata di repressione che l’establishment di Ankara ha riversato sulla propria società tra arresti, licenziamenti e una costante caccia alle streghe. Con la maxi-inchiesta del 2013 ad essere colpito fu il cuore stesso del sistema di Erdogan: l’inchiesta coinvolse i suoi più stretti collaboratori fino ad arrivare a Bilal, il figlio del presidente, attualmente sotto indagine dalla procura di Bologna per riciclaggio. Da allora, il Paese ha dovuto fare i conti con un sistema giudiziario che si rivela ormai essere espressione della volontà politica del partito al potere.
Quell’inchiesta fu repentinamente presentata come il tentativo di Gulen di rovesciare manu “giudiziaria” il governo democraticamente eletto. E poco importa se allarmanti intercettazioni di quell’inchiesta avessero evidenziato delle oscure relazioni tra il governo e certi gruppi imprenditoriali. Iniziò quel giorno una prima purga che colpì proprio chi si rese colpevole di indagare. L’ossessiva e a tratti patetica campagna del governo contro i presunti gulenisti ha raggiunto ormai, dal tentato golpe di luglio, ogni sfera della società. È attraverso lo strumento dei decreti sullo stato d’emergenza che il governo turco, da luglio a oggi, ha allontanato per sospetti legami con la Organizzazione Terroristica di Fethullah (FETO) personale da ogni ministero e agenzia statale. Sono i numeri a parlare.
Secondo la Gazzetta Ufficiale sono 28.163 gli impiegati del Ministero dell’Istruzione licenziati. Stessa sorte per 2.018 del Ministero della Salute e 1.642 del Ministero delle Finanze. Dal Ministero dell’Agricoltura a quello sulla Famiglia e Politiche Sociali fino quello degli Esteri il numero di licenziati supera le 40.000 unità. Senza contare il personale agli arresti, sotto indagine e momentaneamente sospeso tra le file di Polizia, Forze Armate e Presidenza degli Affari Religiosi, il Diyanet. Dal 15 luglio a oggi il numero di impiegati allontanati per presunte simpatie verso Fethullah Gulen arriva a circa 80.000. A questi vanno aggiunti gli arresti e licenziamenti che hanno coinvolto giornalisti, giudici, accademici, insegnanti e artisti.
Non si contano infine le aziende, scuole e università private, strutture mediche, media e fondazioni, chiuse e sequestrate. Il sovreccitamento dei supporter di Erdogan ha perfino superato i confini nazionali arrivando a destabilizzare le stesse comunità turche all’estero. La stampa tedesca riportava già da luglio di minacce e atti di vandalismo subiti dalle associazioni locali d’ispirazione gulenista. Sempre in Germania, Il Die Welt, giornale di Amburgo, ha pubblicato il 21 agosto scorso un preoccupante report in cui si segnala l’attività dell’Intelligence turca (MIT). Sarebbero – secondo il giornale – oltre 6.000 gli informatori e osservatori del governo turco in territorio tedesco, una vera minaccia per quei milioni di cittadini tedeschi d’origine turca. Eppure, fino a qualche anno fa, erano proprio le attività culturali delle associazioni guleniste a rappresentare quel prezioso strumento di soft power con cui Ankara esportava l’immagine di un Islam politico turco nel mondo.
Intanto, è tornato a farsi sentire il nemico pubblico di Erdogan, ovvero Gulen, che nei giorni scorsi ha rilasciato un’intervista al Politico Europe in cui afferma con vigore la natura pacifica di Hizmet, il movimento che si ispira ai suoi articoli e libri. La produzione letteraria di Gulen e dei suoi “seguaci”, già vietata dalle autorità turche, sarà destinata al macero – ma la sua carta riciclata – secondo le istruzioni di Ismet Yilmaz, Ministro dell’Istruzione.
L’imam, dal 1999 in auto-esilio negli Stati Uniti, spiega come «per decenni nessuno in Turchia ha potuto muoversi eccetto i kemalisti e oggi la fedeltà per Erdogan sta rimpiazzando quella per Ataturk come unico criterio identitario». Gulen si dice pronto al ritorno in patria, qualora Washington dovesse mai accettare la richiesta di estradizione inoltrata e sollecitata dal governo turco. E se, tra i suoi sostenitori, in tanti hanno dovuto celare il proprio sostegno a Hizmet per paura di rappresaglie «è per colpa del regime, non del movimento stesso» – ribadisce il predicatore di Erzurum.
Ad acuire l’ondata repressiva negli ultimi giorni è arrivato l’allontanamento di oltre 10.000 insegnanti, colpevoli – secondo il governo – di presunti legami con il PKK, l’altro fronte caldo tanto caro al partito di Erdogan. Un duro colpo alla già ridimensionata scuola turca nel mese in cui inizia il nuovo anno scolastico. La società turca appare sempre più polarizzata. Tra colpevoli, presunti tali e accuse di terrorismo a pagare sono sempre quei cittadini che si devono interfacciare con le istituzioni di un Paese in stato di evidente precarietà. Nena News