Annunciato stamane un nuovo progetto che prevederà la costruzione di 1.000 unità abitative a Gerusalemme Est. Ieri, intanto, il Presidente israeliano Rivlin ha visitato il villaggio arabo di Kafr Qasim ammettendo pubblicamente le responsabilità israeliane nel massacro di palestinesi del 1957.
di Roberto Prinzi
Roma, 27 ottobre 2014, Nena News - Nuova colata di cemento in arrivo nella parte orientale di Gerusalemme annessa (illegalmente) da Israele. Il governo di Tel Aviv ha infatti annunciato stamane il progetto di costruire altre 1.000 unità abitative nelle colonie di Har Homa e Ramat Shlomo. A riferirlo all’Afp è stato stamane un ufficiale israeliano che non ha voluto commentare le possibili ripercussioni che questo annuncio potrebbe avere a livello diplomatico con i palestinesi e la comunità internazionale.
Nelle scorse settimane l’Unione Europea e gli Usa avevano protestato (flebilmente) per le nuove costruzioni in territorio palestinese annunciate dagli israeliani. Violazioni fuori luogo per gli occidentali ora che si è in una fase politica delicata dove Ramallah e Tel Aviv devono ancora accordarsi per un cessate il fuoco “di lunga durata” nella Striscia di Gaza.
L’annuncio ha già creato le prime proteste negli ambienti della sinistra israeliana. “Non è mai un buon periodo per compiere atti del genere, soprattutto ora che Gerusalemme sta bruciando”, ha dichiarato Lior Amichai dell’Ong israeliana Peace Now da decenni impegnata a registrare le violazioni di Tel Aviv in Cisgiodania.
Ma se da un lato Israele provoca la rabbia dei palestinesi, dall’altro lato prova a stemperare le tensioni. Ieri il Presidente Reuven Rivlin ha compiuto una visita storica recandosi al villaggio palestinese di Kafr Qasim (situato in Israele nei pressi della Linea Verde). Il Capo di Stato ha commemorato il massacro dei 48 palestinesi compiuto dalle forze di polizia israeliane di frontiera nel 1957 e ha ammesso pubblicamente il “terribile crimine compiuto qui” e “l’uccisione di innocenti”. Frasi scandalose per la destra israeliana , ma che ad una analisi più attenta solo apparentemente stupiscono.
Da quando è diventato Presidente (lo scorso 24 luglio), Rivlin non è nuovo a dichiarazioni shock per gli esponenti di estrema destra del governo israeliano. La scorsa settimana la sua descrizione di Israele come “una società malata che ha bisogno di essere curata” aveva generato un putiferio negli ambienti politici vicini al premier Netanyahu che, a malincuore, aveva scelto di non intervenire nella polemica. Nonostante le dure critiche e la pioggia di insulti, il Capo di Stato ha tirato per la sua strada recandosi a Kafr Qasim andando anche al di là delle pure formalità.
Facendo adirare non poco i suoi detrattori, infatti, Rivlin ha criticato pubblicamente il razzismo e la violenza della società israeliana. Secondo l’anziano presidente se Israele è il “focolare nazionale” del popolo ebraico, è vero anche che “sarà la patria della popolazione araba, un gruppo non marginale nella società israeliana: una componente di un milione e mezzo di persone molte delle quali subiscono atti di razzismo e di prepotenza da parte degli ebrei”.
Il Capo di Stato ha poi fatto riferimento alle violenze in corso a Gerusalemme esortando israeliani e palestinesi ad avere il coraggio “di fermare il ciclo di violenza”. “Sono venuto qui da voi – ha affermato – soprattutto in questi giorni difficili per stendere la mia mano verso di voi nella convinzione che anche voi farete lo stesso con me e con gli israeliani”. Da settimane sono quotidiani a Gerusalemme gli scontri tra palestinesi e forze di sicurezza israeliane causati dalle provocazioni dei coloni ebrei con le loro “visite” sulla Spianata delle Moschee (terzo luogo sacro per l’Islam) e dall’incessante spoliazione dei palestinesi compiuta dall’esecutivo Netanyahu.
Ma l’empatia di Rivlin non deve ingannare. Il Presidente, infatti, non ammette l’esistenza di alcuno stato di Palestina. Rifacendosi ad una teoria classica del revisionismo israeliano, il Capo di stato sostiene uno “Stato unico” per ebrei e arabi, ma non nel senso progressista e democratico. Rivlin ritiene che i palestinesi sotto occupazione potrebbero divenire cittadini di Israele come i loro connazionali in Galilea. Ma esclude categoricamente qualunque stato binazionale per tutti i cittadini. Suggerisce, piuttosto, all’interno di una Israele riconosciuta come “ebraica”, la creazione di due parlamenti: uno per gli ebrei e uno per gli arabi.
Le dichiarazioni conciliatorie e le polemiche a destra rientrano nel balletto mediatico e politico più volte visto da quando è stato formato (nel 2013) l’esecutivo Netanyahu. Se la parte degli estremisti è recitata abilmente dal leader dei coloni Bennet di “Casa Ebraica”, al Premier Netanyahu tocca il ruolo più dimesso di pompiere pronto a mostrarsi dialogante con la comunità internazionale e disposto (solo a parole) ad una soluzione di pace con i palestinesi. Ma al di là degli annunci, dei proclami e delle frasi di circostanza nei fatti non c’è alcuna differenza tra queste due componenti soprattutto quando si parla dei palestinesi. Anzi, le presunte due anime del governo agiscono in modo complementare portando avanti una agenda politica di estrema destra che fa ugualmente contenti Netanyahu, il suo xenofobo Ministro degli Esteri Lieberman e il leader dei coloni Bennet. Quando, ad esempio, il Primo Ministro si è opposto ai progetti di colonizzazione in Cisgiordania o ha impedito l’implementazione delle politiche anti-immigratorie e anti-arabe proposte dagli esponenti più radicali del suo governo? Ha davvero senso la distinzione di “colombe” e “falchi” nel suo governo come propongono alcuni analisti?
Piuttosto, l’empatia dell’ex likudnist Rivlin può essere compresa solo se letta alla luce della feroce battaglia interna che sta avendo luogo nella fragile coalizione governativa. Bennet, Lapid di Yesh Atid e fette non marginali dello stesso Likud di Netanyahu provano da tempo a trarre vantaggio dalla debolezza del Premier e delle aree “moderate” del suo partito cercando di mostrarsi all’opinione pubblica israeliana come gli unici difensori dell’Eretz Yisrael dagli “attacchi arabi”. Se soprattutto dopo l’offensiva di Gaza il loro tentativo sta avendo successo perché sempre più israeliani si rispecchiano in Casa Ebraica e nel suo carismatico leader, agli ex “falchi” non resta che guardare più a “centro” cercando nello stesso tempo di non far innervosire troppo gli alleati occidentali. Nena News