A rivelarlo ieri alla tv israeliana è stato Tamir Pardo, allora direttore dell’agenzia di Intelligence. Netanyahu, inoltre, avrebbe chiesto allo Shin Bet (Intelligence interna) di intercettare i telefoni del capo del Mossad e delle forze armate. Sulle ultime accuse il primo ministro sbotta: “Tutte bugie”
di Roberto Prinzi
Roma, 1 giugno 2018, Nena News – Il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha dato l’ordine di attaccare l’Iran nel 2011. Ad affermarlo è stato ieri l’ex capo del Mossad Tamir Pardo intervistato dal programma d’inchiesta israeliano Uvda. Secondo quanto riferito dall’ex numero uno dell’agenzia d’Intelligence, il primo ministro gli aveva ordinato di tenere le forze armate pronte ad attaccare la Repubblica islamica entro 15 giorni, sottolinenado come quel comando “non era per un’esercitazione”. “Queste cose hanno un enorme significato – ha dichiarato Pardo – Quando lui [Netanyahu] ti dice di iniziare il conto alla rovescia, sai che non sta scherzando”.
L’ex capo del Mossad ha poi affermato che, una volta ricevuto l’ordine, ha chiesto dei “chiarimenti” su chi avrebbe “autorizzato” la guerra, manifestando le sue preoccupazioni circa la legittimità dell’operazione. “Mi sono consultato con i miei consiglieri, con tutti coloro con cui potevo [farlo] per capire chi era autorizzato a dare l’ordine di iniziare una conflitto – ha spiegato– [Quel comando di preparare l’esercito alla guerra] non è qualcosa con cui ti puoi permettere di fare pratica. Se qualcuno lo fa, allora ci sono due possibilità: o si vuole davvero attaccare o sta mandando un segnale all’esterno”.
Pardo è un fiume in piena: dopo aver ammesso di essersi consultato anche con il procuratore generale israeliano di allora, Yehuda Weinstein, si è poi giustificato: “Alla fine se ricevo un ordine dal primo ministro, lo devo eseguire, ma devo essere certo che se, Dio non voglia, qualcosa va storto, anche nel caso in cui l’operazione dovesse fallire, non ho compiuto un atto illegale”. I suoi dubbi iniziali si trasformarono in palese opposizione: fu proprio il no suo e dell’allora capo dell’esercito Gantz a costringere Netanyahu a rimettere nel cassetto (almeno momentaneamente) il suo desiderio di bombardare l’Iran.
Nel corso di Uvda è emerso anche che sempre nel 2011 il premier aveva chiesto allo Shin Bet (Intelligence interna) di mettere sotto controllo i capi del Mossad e delle forze armate per paura che alcune informazioni “sensibili” potessero essere consegnate ad estranei. Secondo il programma giornalistico, Netanyahu aveva chiesto all’ex numero uno dello Shin Bet, Yoram Cohen, di usare le “capacità speciali” del servizio di sicurezza per monitorare le comunicazioni di alti ufficiali alla difesa israeliani (tra questi anche Gantz e Pardo) anche se non vi erano prove che questi stessero rivelando segreti di stato a parti terze. Le azioni pensate da Netanyahu, ha sostenuto Uvda, erano considerate “preventive”, ma comunque ritenute inaccettabili da Cohen perché lo “Shin Bet non usa misure drastiche contro persone che dirigono l’esercito e il Mossad”.
La risposta del premier alle accuse di ieri sera è arrivata stamattina su Twitter. “Non ho mai chiesto [a Cohen] di ascoltare il capo delle forze armate o quello del Mossad”. Non c’è limite alle bugie”. Parole che non hanno convinto però l’opposizione. Il leader laburista ha chiesto le sue dimissioni mentre Tzipi Livni di HaTnua (fazione interna al Campo sionista di cui fanno parte i labour) ha sottolineato come quanto accaduto sia la prova “della devastante combinazione tra i molti anni in carica [di Netanyahu], il suo troppo potere e il [suo] definire tutti coloro che la pensano diversamente come traditori”.
Per quanto gravi le ultime accuse – che mostrano per l’ennesima volta come tra i governi Netanyahu degli ultimi anni e le forze armate e d’Intelligence del Paese ci sia un netto contrasto già apparso evidente nella diversità di vedute nella gestione della questione palestinese – restano le rivelazioni di Pardo quelle più pericolose. Certo, non sorprendenti: già l’ex premier laburista Ehud Barak ammise nel 2015 che Netanyahu aveva cercato di bombardare l’Iran nel 2010-2011 e che alla fine non ci riuscì a causa dell’opposizione degli ufficiali israeliani.
Tuttavia, le parole di ieri dell’ex capo del Mossad mostrano nuovamente come Tel Aviv sia ormai da tempo vicinissima, non solo a parole, a scatenare una offensiva contro Teheran. Un attacco che causerebbe una guerra devastante nell’intera regione e che appare sempre più imminente da quando (nel 2017) è stato eletto alla presidenza degli Stati Uniti il repubblicano Donald Trump. I prodromi di questo conflitto imminente si possono leggere in Siria, ripetutamente colpita in questi anni dall’aviazione israeliana con il pretesto di “fermare la presenza iraniana”.
Incandescente è soprattutto l’area a sud ovest del Paese dove però, ha scritto questa settimana il quotidiano saudita Elaph, Israele e Iran avrebbero iniziato alcuni negoziati indiretti. La repubblica islamica avrebbe promesso di non partecipare agli scontri tra le forze armate siriane (sue alleate) e i gruppi “ribelli”. Dal canto suo, Tel Aviv avrebbe detto che non interverrà nelle battaglie vicino al Golan o al confine giordano qualora Hezbollah e le milizie sostenute dall’Iran non dovessero prendervi parte. A inizio anno, proprio sul Golan occupato e annesso illegalmente da Israele, l’aviazione israeliana ha abbattuto un drone iraniano che era entrato nel “suo” territorio”. Tel aviv rispose inoltre attaccando diverse postazioni anti-aeree siriane. Nena News
Roberto Prinzi è su Twitter @Robbamir