La bozza è stata votata ieri dalla Commissione ministeriale israeliana per la legislazione. Per diventare legge dovrà passare tre volte alla Knesset. Il governo, con pieno sostegno del premier Netanyahu, propone anche di vietare gli altoparlanti delle moschee
della redazione
Roma, 14 marzo 2016, Nena News – La Commissione ministeriale israeliana per la legislazione ha approvato ieri unanimemente una risoluzione che, se dovesse passare alla Knesset, legalizzerà gli avamposti ebraici illegali in Cisgiordania. La votazione è avvenuta nonostante il premier israeliano Benjamin Netanyahu avesse manifestato la sua volontà di rimandare questa decisione (per fini tattici, non tanto ideologici) e nonostante gli avvertimenti del procuratore generale che ha già detto che non la difenderà di fronte alla Corte Suprema israeliana perché contraria alla legge internazionale e perché non c’è alcun precedente legale che giustifichi l’espropriazione di terra posseduta privatamente dai palestinesi. Perché diventi legge, la bozza deve essere ora approvata in tre letture alla Knesset e ratificata dalla Suprema corte.
Alla base del voto di ieri c’è la volontà del governo israeliano di impedire che venga evacuato il prossimo 25 dicembre l’insediamento illegale di Amona in Cisgiordania in cui abitano 40 famiglie e che è stato costruito su terra privata palestinese. La presenza di Amona è illegittima per il diritto internazionale che considera illegali tutte le costruzioni israeliane in Cisgiordania e Gerusalemme est (insieme alla Striscia di Gaza parti del futuro stato di Palestina) ritenendole tra i principali ostacoli al raggiungimento di un’intesa di pace con i palestinesi.
La bozza approvata ieri, però, fa carta straccia del diritto internazionale: stipula infatti che il governo israeliano potrà ordinare la confisca di terra appartenente ai palestinesi in cambio di compensazioni. La mossa è stata prontamente denunciata dal movimento israeliano pacifista Peace Now. “È una vergogna che il governo sta sostenendo un provvedimento che permetterà la confisca di terre possedute privatamente dai palestinesi per costruire le colonie” ha detto Hagit Ofran una delle responsabili dell’organizzazione. Non sarebbe però una novità: secondo Ofran, infatti, Tel Aviv ha già costruito circa 2.000 case illegali in Cisgiordania. Duro è stato anche il gruppo israeliano per i diritti umani Yesh Din che ha dichiarato come tale atto “mostri l’intenzione del governo di annettere ad Israele la Cisgiordania senza conferire ai suoi residenti [palestinesi] i diritti civili”.
Tra le costruzioni illegali presenti nei territori occupati palestinesi, alle 196 colonie sparse tra Cisgiordania e nella parte orientale di Gerusalemme, bisogna tenere conto dei 232 “avamposti” considerati illegali perfino da Tel Aviv. Teoricamente e temporaneamente illegali, però, perché le autorità israeliane hanno spesso stabilito di legalizzarli retroattivamente dichiarandoli colonie. La decisione della Commissione di ieri era stata a tutti costi scongiurata dal premier Netanyahu: Bibi infatti aveva implorato di procrastinare il voto fino a quando la Corte suprema non decideva se posticipare o meno l’evacuazione di Amona. Alla base dei timori del premier non vi è alcun motivo pacifista: il leader del Likud temeva solo che una presa di posizione del suo esecutivo sulla questione potesse ostacolare un rinvio della Corte sull’avamposto illegale. Una possibilità che trovava pure fondamento nelle parole del procuratore generale che aveva parlato di “danno significativo” qualora si fosse proceduto ad un eventuale voto della Commissione.
Quanto accaduto ieri in sede commissariale e durante la consueta riunione settimanale dell’esecutivo, però, riporta di nuovo al centro del dibattito il conflitto interno alla coalizione tra il premier e il leader di Casa Ebraica, Naftali Bennet. E’ stato infatti proprio il ministro dell’Istruzione a spingere sull’acceleratore affinché la bozza potesse arrivare alla Knesset nonostante il parere negativo del primo ministro. Un dissidio rumoroso e continuo che non nasce però da una sostanziale differenza ideologica, ma più per fini politici (compiacere il proprio elettorato) e di visibilità (apparire con il principale difensore dell’Eretz Israel).
A riprova di questa uguaglianza di fondo è il sostegno che ieri il premier ha dato ad una proposta volta a bandire gli altoparlanti delle moschee. “Non riesco a calcolare le volte – sono troppe – in cui i cittadini di tutte le parti della società israeliana, di tutte le religioni, si sono rivolti a me per il fastidio causato dall’eccessivo rumore proveniente dagli impianti delle case di preghiera che invitano alla preghiera” ha detto Netanyahu all’inizio della riunione del suo governo. Il premier è stato attento a non pronunciare le parole “moschea” o “muezzin” preferendo invece parlare di non meglio precisate “case di preghiere”. Ma è chiaro che ancora una volta l’obiettivo del nuovo possibile provvedimento saranno i palestinesi cittadini d’Israele (circa il 18% della popolazione, gran parte musulmani) che già lamentano di essere discriminati perché non ebrei in uno stato che si definisce ebraico per atto fondativo. Sulle pagine del quotidiano israeliano Ma’ariv, Nasreen Hadad Jaj-Yahya ha scritto ironicamente che il “vero obiettivo [del governo] sarà quello di creare rumore che colpirà l’intera società danneggiando gli sforzi volti a costruire una realtà sana tra ebrei e arabi”. Nena News