Dopo il massacro di mercoledì, un’altra serie di attacchi kamikaze ha colpito città sciite e la liberata Ramadi. Manifestazione di protesta contro il governo a Sadr City
della redazione
Roma, 13 maggio 2016, Nena News – In centinaia sono scesi ieri nelle strade di Sadr City dopo il mercoledì di stragi che ha colpito il popoloso quartiere sciita a nord di Baghdad: una carneficina che ha lasciato a terra almeno 100 vittime, dopo le bombe esplose anche in altri quartieri della capitale.
Sono scesi in piazza pieni di rabbia contro il governo centrale, accusato di corruzione e incapacità di fermare i terroristi dello Stato Islamico. A 10 giorni dall’assalto alla Zona Verde e l’ingresso in parlamento di migliaia di sadristi (ma anche cittadini non affiliati al movimento del religioso Moqtada al-Sadr), c’è chi imputa ai politici iracheni una voluta apatia per frenare il movimento popolare: “Quello che è successo è una reazione dei politici perché siamo entrati in parlamento”, dice una donna di 38 anni, Umm Abbas, che ha perso un fratello nell’attacco Isis di mercoledì. “I politici ci hanno minacciato pubblicamente, hanno detto che ci sarebbe stata una campagna di arresti ma pare che al suo posto abbiano preferito un’esplosione”, aggiunge mentre intorno venivano intonati slogan che chiedevano le dimissioni del ministro degli Interni e dello stesso premier al-Abadi.
Parole dettate dall’ira per una situazione ormai intollerabile: se ad ovest lo Stato Islamico schiaccia la popolazione irachena con l’occupazione, a est e nella capitale la opprime con attacchi continui e incontrollabili. La responsabilità è anche, ovviamente, politica: mentre l’Isis si radica, lo spettro politico iracheno è in piena crisi, incapace di reagire in maniera unitaria alla minaccia comune. Sul terreno il governo non sa come reagire: i checkpoint militari che circondano la capitale non servono a prevenire l’ingresso degli islamisti perché i controlli sono sporadici e poco accurati.
E gli effetti sono devastanti: dopo i massacri di mercoledì, ieri e oggi sono stati altri giorni di sangue. Ieri pomeriggio due kamikaze si sono fatti esplodere a Ramadi, capoluogo della provincia di Anbar liberato dalle forze governative a fine dicembre. Almeno 17 soldati sono stati uccisi, mentre un altro commando riusciva a occupare un ponte e a tagliare la via di collegamento tra Ramadi e il distretto nord di Thirthar. Poco prima nel sobborgo di Abu Ghraib, poco fuori Baghdad, un altro gruppo islamista compiva un attacco suicida uccidendo due poliziotti e ferendone 8.
All’alba di stamattina tre uomini armati sono entrati in un caffè nella città sciita di Balad, nord di Baghdad, e hanno aperto il fuoco uccidendo 12 persone e ferendone 25. All’arrivo della polizia uno di loro si è fatto saltare in aria uccidendo altre 4 persone. Per raggiungere il luogo dell’attacco, a poche decine di km dalla linea del fronte con i territori occupati dall’Isis, il gruppo ha attraversato tre checkpoint senza essere fermato.
Dopo le epurazioni imposte dall’occupazione Usa delle sue componenti sunnite e baathiste, l’esercito iracheno non è mai stato in grado di riformarsi. Una mancata ricostituzione militare che si accompagna all’assenza di una più generale ricostruzione politica e materiale. Dei miliardi di dollari arrivati nel paese dall’estero, buona parte è scomparsa tra le pieghe del clientelismo politico e partitico. Da qui nasce la rabbia popolare, sempre più organizzata, che minaccia seriamente l’equilibrio insano dei poteri del paese. Nena News