A fine agosto la Serbia ha aperto un ufficio commerciale a Gerusalemme con l’obiettivo di rafforzare i legami economici con Israele. Pochi giorni dopo, l’azienda Rafael ha confermato le trattative per la vendita a Belgrado dei nuovi missili Spike
di Marco Siragusa
Roma, 7 settembre 2021, Nena News – Meno di una settimana. Questo il tempo trascorso tra l’annuncio, da parte della Camera di Commercio e dell’Industria serba, dell’apertura di un ufficio commerciale a Gerusalemme e la conferma dell’azienda di stato israeliana Rafael delle trattative per la vendita a Belgrado dei missili anticarro di ultima generazione Spike.
Anche se la cerimonia ufficiale per l’apertura dell’ufficio avverrà solo a novembre, le autorità serbe non hanno perso tempo nel dedicarsi a rafforzare le relazioni economiche nel campo degli armamenti con Israele. L’obiettivo principale dell’ufficio sarà quello di “creare le condizioni per un accordo di libero scambio tra i due paesi” comprendente diversi settori come quello immobiliare, delle energie rinnovabili, delle infrastrutture e del turismo. E, anche se non esplicitato nelle dichiarazioni ufficiali, quello del commercio di armi. I missili anticarro Spike, al centro della trattativa, sono considerati tra i più moderni e potenti in circolazione. Prodotti in Germania dalla Eurospike, sussidiaria di Rafael, i missili sono già in dotazione delle forze armate di Croazia e Slovenia. Questa nuova tecnologia verrà probabilmente esposta durante l’Adriatic Sea Defense and Aerospace (ASDA), che si svolgerà nella città croata di Spalato dal 29 settembre al 1 ottobre e che vedrà la partecipazione della Rafael ma non della Jugoimport, l’azienda serba coinvolta nella trattativa.
Non è la prima volta che Serbia e Israele confermano di aver avviato trattative per il commercio di armi. Era già successo nel marzo del 2020 quando il presidente serbo Aleksandar Vučić, partecipando alla conferenza annuale dell’AIPAC, la più grande lobby filo-israeliana degli Stati Uniti, aveva annunciato l’arrivo di “una consegna non da poco” di armi israeliane. In quell’occasione Vučić aveva anche affermato che in Serbia non esiste nessuna campagna di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni (BDS) verso Israele e che il paese “non è un terreno fertile per messaggi antisemiti”.
Pochi mesi dopo, nel settembre del 2020, lo stesso Vučić si recava negli Stati Uniti per firmare un accordo con il Kosovo che prevedeva, tra le altre cose, lo spostamento dell’ambasciata serba da Tel Aviv a Gerusalemme entro luglio 2021 e il reciproco riconoscimento tra Kosovo e Israele. Ma mentre Pristina ha dato seguito all’accordo aprendo nel marzo di quest’anno la propria ambasciata a Gerusalemme, la Serbia, dopo le numerose critiche ricevute dall’Unione Europea e dalla Turchia, ha rinunciato almeno momentaneamente allo spostamento della propria sede diplomatica.
Il riconoscimento del Kosovo da parte di Israele, avvenuto nel febbraio di quest’anno, ha creato non poche tensioni con Belgrado. Il ministro degli Esteri Nikola Selaković aveva pubblicamente espresso il suo disappunto dichiarando di non essere per nulla contento di questa decisione che “influenzerà senza dubbio le relazioni tra i due paesi”. Evidentemente gli interessi economici e dell’industria militare si dimostrano più forti di quelli identitari, sbandierati in maniera strumentale dalle autorità politiche serbe ogniqualvolta si renda necessario compattare l’opinione pubblica attorno ai propri leader.
Proprio quest’anno ricorrono i 30 anni dall’avvio delle relazioni diplomatiche tra Serbia e Israele. La prima visita ufficiale di un primo ministro serbo è avvenuta nel dicembre 2014 con l’incontro tra lo stesso Vučić, non ancora presidente della Repubblica, e il suo omologo Netanyhau a Gerusalemme. Quattro anni dopo, nel 2018, era toccato al presidente israeliano Rueven Rivlin recarsi in Serbia per la prima visita di un capo di stato israeliano in Serbia. Oggi, le relazioni tra i due paesi possono considerarsi più che ottime, proiettate verso un ulteriore sviluppo dei rapporti economici. Nena News