Affamata la popolazione con il blocco navale e aereo, ora Riyadh apre agli aiuti umanitari perché gli Houthi sono stati allontanati da Aden. La città liberata con il sostegno di al Qaeda. Tutto per non perdere terreno dopo l’accordo sul nucleare iraniano.
della redazione
Roma, 22 luglio 2015, Nena News – Finalmente il cibo è entrato in Yemen dopo quattro mesi di blocco navale e aereo saudita e promesse di cessate il fuoco umanitari fatte bere all’Onu e poi subito violate da Riyadh. Con un paese il cui 80% della popolazione necessita di aiuti umanitari immediati e 9 milioni di persone di acqua potabile, il cibo è arrivo nel porto di Aden.
Perché, dopo oltre 100 giorni di bombardamenti e la chiusura totale dei confini yemeniti, oggi re Salman permette l’ingresso di un cargo delle Nazioni Unite, con a bordo cibo per 180mila persone? Perché oggi Aden non è più in mano ai ribelli Houthi ma in quelle delle forze fedeli all’alleato Hadi, presidente yemenita.
Di sottile pare esserci ben poco: i sauditi non possono permettersi di perdere lo Yemen e in campo mettono tutti gli strumenti necessari alla vittoria, fondamentale dopo l’accordo siglato a Vienna dall’Iran e il 5+1 e il prossimo e certo boom dell’economia iraniana. Il gioco yemenita vale tante candele: vale una propaganda spicciola, vale affamare un popolo intero, vale vendere l’anima al diavolo.
Così aprono le porte alle Nazioni Unite quando gli è più comodo, con il World Food Program che gioisce senza muovere recriminazioni sulle tempistiche: a sud, le province occupate dagli Houthi sono a maggioranza sunnita e spesso pentola di ebollizione di radicate spinte separatiste. Sventolando lo spauracchio sciita, Riyadh si è garantita da un’eventuale sostegno alla causa ribelle. Ma anche chiudendo i rubinetti: nessun aiuto è arrivato alla popolazione intrappolata a sud. Per colpa degli Houthi, è il messaggio di Riyadh.
Un paradigma molto simile a quello usato dagli alleati indiretti sauditi, i gruppi estremisti islamisti. Se l’Isis opera sempre più spesso a nord contro il movimento Houthi (lunedì l’ennesima autobomba davanti ad una moschea a Sana’a ha provocato 4 morti e 8 feriti ed è stata rivendicata dallo Stato Islamico), a sud c’è al Qaeda che non nega un sostegno alla causa della coalizione anti-sciita.
Per la ripresa di Aden, raccontano fonti locali, residenti e combattenti Houthi, sono scesi in campo anche miliziani qaedisti. Lo riportava alcuni giorni fa il The Wall Street Journal che citava anche un diplomatico occidentale coperto dall’anonimato: “Si rivolgono a chiunque li aiuterà a resistere agli Houthi”.
Residenti di Aden non hanno nascosto la sorpresa al quotidiano quando hanno visto le truppe governative combattere al fianco dei qaedisti: per le strade della città si vedevano sventolare bandiere di al Qaeda e miliziani festeggiare la ripresa della città e trascinare con sé cadaveri di combattenti Houthi. E se le autorità saudite non hanno ancora commentato la notizia, una simile eventualità non appare poi così improbabile: da tempo Riyadh è accusata da media e oppositori – e sottovoce anche dagli alleati – di evitare di colpire al Qaeda nella Penisola Arabica in Yemen perché fa comodo. Fa comodo avere un alleato indiretto in campo, qualcuno che abbia come target il tuo stesso nemico. Senza rendersi conto delle conseguenze: a est al Qaeda si sta radicando nelle istituzioni locali e assumendo il nuovo ruolo di amministratore oltre che di esercito.
Ma tant’è, Riyadh nel momento di debolezza seguito all’accordo sul nucleare iraniano le prova tutte per piegare gli Houthi, riprendersi il giardino di casa, ricontrollare le politiche interne yemenite e mantenere lo stivale sulle rotte del greggio del Golfo diretto verso l’Europa. Nena News
Pingback: YEMEN. Già violata la nuova tregua umanitaria