Le 41 case degli abitanti dell’avamposto ebraico saranno trasferite su presunte “terre di nessuno” ma comunque di proprietà palestinese. Protestano gli Stati Uniti e la Francia. Intanto non conosce sosta la demolizione di case palestinesi
di Michele Giorgio – Il Manifesto
Gerusalemme, 13 agosto 2016, Nena News - Alla fine i settler di Amona, il più grande degli oltre 100 avamposti ebraici in Cisgiordania – illegali per il diritto internazionale come le 150 colonie “ufficiali” costruite da Israele -, avranno la sistemazione che cercavano. Le 41 case mobili di Amona, di cui la Corte Suprema ha ordinato la rimozione perchè occupano terreni privati palestinesi, saranno trasferite sulle cosiddette “terre di nessuno”. I proprietari palestinesi sarebbero “sconosciuti” perché fuggirono (in Giordania) durante la guerra del 1967. Terre di nessuno che Israele considera demaniali tralasciando il “particolare” che tutta la Cisgiordania è un territorio occupato e l’occupante non può insediarvi la sua popolazione. E il fatto che l’Amministrazione Civile dell’Esercito israeliano abbia fatto pubblicare dal giornale palestinese al Quds un avviso in cui chiede ai proprietari di quelle terre di presentare entro 30 giorni un ricorso formale contro la confisca di fatto, è considerato una operazione di facciata, un espediente, dalle stesse associazioni israeliane pacifiste e per i diritti umani, come Peace Now.
La vicenda di Amona si trascina da anni. I massimi giudici israeliani, accogliendo il ricorso dei palestinesi, hanno fissato il termine della fine dell’anno per la rimozione delle case dei coloni. Questi ultimi hanno protestato e resistito in tutti i modi alla decisione ottenendo la solidarietà e l’aiuto concreto dei numerosi deputati-coloni e ministri-coloni che affollano i banchi della Knesset e occupano diverse poltrone governative. L’Esercito aveva proposto a quelli di Amona di trasferirsi di fatto nella colonia ebraica di Shiloh. Ma ha ricevuto un secco rifiuto. Quindi è intervenuta la ministra della giustizia Ayelet Shaked, del partito Casa ebraica, il principale riferimento politico dei coloni, che ha avanzato l’idea di trasferire le case mobili di Amona sulle terre di proprietari “sconosciuti”.
La soluzione non è piaciuta agli alleati americani. Gli Stati Uniti hanno fatto sapere di essere «profondamente preoccupati» per questo piano del governo Netanyahu. «Ciò rappresenta un passo senza precedenti e preoccupante, in contrasto con il parere legale (della Corte Suprema) e contro la politica israeliana di non confiscare terre private palestinesi per gli insediamenti (coloniali)», ha fatto sapere la portavoce del Dipartimento di Stato Elizabeth Trudeau. La protesta di Washington è giunta assieme a quella di Parigi per la demolizione di alcune strutture edilizie palestinesi costruite in Cisgiordania con finanziamenti statali francesi. Israele ha risposto di avere il diritto di abbattere ogni edificio privo del permesso dell’Amministrazione Civile. Una disputa “legale” che fa emergere ancora una volta la distanza tra la posizione di Israele che non si considera una potenza occupante in Cisgiordania e a Gerusalemme Est e quella della comunità internazionale che fa riferimento alle risoluzioni delle Nazioni Unite e alle Convenzioni di Ginevra.
In ogni caso questa distanza non ha impedito in alcun modo, negli ultimi cinquanta anni, allo Stato di Israele di attuare le sue politiche nei Territori palestinesi occupati, a cominciare dalla colonizzazione. Le proteste americane, anche durante gli otto anni di Ammistrazione Obama, non sono mai state seguite da iniziative concrete volte impedire la violazione del diritto internazionale nei Territori. L’Europa ha fatto qualche passo in più ma è frenata dalle differenze, spesso molto ampie, tra le linee di politica mediorientale di alcuni Stati membri rispetto agli altri.
Intanto l’ondata di demolizioni di case “abusive” in Cisgiordania continua a pieno ritmo. Dall’inizio del mese l’Amministrazione Civile israeliana ha demolito 20 case e 13 strutture edilizie palestinesi (cinque erano state donate da organizzazioni umanitarie) lasciando 53 persone – tra cui 25 minori – senza un tetto. Quest’anno Israele ha demolito almeno 188 case palestinesi in Cisgiordania, il numero più alto dal 2006, quando il centro B’Tselem per i diritti umani ha cominciato a documentare queste distruzioni. Le ultime demolizioni hanno riguardato Um al Kheir, Farsh al-Hawa, Khirbet a-Rakhim e Fuqeiqis a sud di Hebron; Fasayil, al Muarrajat, Nueimeh e Jiftlik nella valle del Giordano. Nena News