La più alta corte di Israele ritarda la demolizione di una sinagoga costruita in cima a una proprietà rubata ai palestinesi, temendo ritorsioni da parte di estremisti di destra. Michael Omer-Man, direttore del portale israeliano +972Mag, si chiede se il terrorismo non abbia ufficialmente vinto nel paese
![La firma della "vendetta" degli estremisti ebraici sulla casa dei Dawabsheh a Douma, in Cisgiordania (fonte: wikipedia)](http://nena-news.it/wp-content/uploads/2015/11/Revenge_graffiti_on_the_burned_Dawabsheh_house.jpg)
La firma della “vendetta” degli estremisti ebraici sulla casa dei Dawabsheh a Douma, in Cisgiordania (fonte: wikipedia)
di Michael Schaeffer Omer-Man – +972Mag
Roma, 9 novembre 2015, Nena News – Lo Stato di Israele ha appena convalidato il concetto stesso di violenza del “price tag”, che i funzionari israeliani hanno spesso descritto – ma mai giuridicamente definito – come terrorismo.
Martedì scorso lo Stato ha chiesto all’Alta Corte di Giustizia di ritardare l’ordine di demolizione di una sinagoga in Cisgiordania costruita su terra palestinese rubata. L’argomento principale dello stato nel richiedere l’estensione, che il giudice malvolentieri ha concesso, è stato il seguente: “La polizia ritiene che demolire l’edificio rischi di portare ad atti di violenza da parte di estremisti di destra contro gli arabi e i simboli religiosi musulmani”.
In altre parole: non vogliamo far rispettare la legge, perché abbiamo paura che i criminali ci puniscano per questo. O, in parole ancora più chiare e più spaventose: abbiamo accettato che i terroristi ci facciano pagare un prezzo per la messa in pratica di decisioni annunciate, condannate da un tribunale e sanzionate dal governo.
Non esiste una singola definizione di terrorismo, ma la maggior parte comprende alcuni concetti fondamentali: l’uso della violenza contro obiettivi non militari per influenzare un governo o una società al fine di far avanzare i propri obiettivi politici.
Che cosa è successo nella colonia di Givat Ze’ev l’altra mattina? Un gruppo di persone ha apertamente dichiarato la propria disponibilità a usare la violenza per resistere alla demolizione di un edificio costruito su terra rubata, e ha convinto la polizia e il governo dello Stato di Israele a dichiarare che sono troppo spaventati per far rispettare la legge.
Un affidavit dalle più alte sfere della polizia israeliana ha avvertito che le conseguenze da parte degli estremisti di destra è “probabile che si diffondano oltre i confini del Givat Ze’ev, dove si trova la sinagoga, nel territorio della Cisgiordania e nel resto il paese, danneggiando significativamente la sicurezza e l’ordine pubblico”.
È così? Il terrorismo ha vinto?
Certo che no: è solo che è efficace. Orrendo, spregevole e un affronto per l’umanità. Ma efficace.
La violenza non può essere sempre il fattore decisivo, ma ha servito bene il movimento dei coloni. L’occupazione del Park Hotel a Hebron nella Pasqua del 1968 ha portato alla creazione del primo insediamento ebraico all’interno di una città palestinese. Il massacro della moschea di Ibrahim nel 1994 ha portato all’acquisizione completa e alla segregazione della zona centrale del mercato della stessa città. Svariate combinazioni di violenza civile e in uniforme sono state utilizzate in tutta la Cisgiordania per rubare sistematicamente terra palestinese e intimidire i legittimi proprietari.
E come si è visto in questo caso, gli attacchi del “price tag” sono riusciti a rendere gli organi statali – già esitanti – ancora più reticenti ad attuare ordini giudiziari o militari che corrono il rischio di irritare il movimento dei coloni.
Il successo del movimento “price tag” e dei coloni violenti in generale, però, espone anche la segregazione legale, la discriminazione e il doppio standard di cui godono i movimenti ebraici e quelli non ebrei che utilizzano la violenza per far avanzare gli obiettivi politici contro la volontà dello Stato.
Se un gruppo di palestinesi avesse dichiarato pubblicamente di essere disposto a morire e avesse minacciato di usare esplosivi (bombole a gas) in uno scontro contro le forze di sicurezza israeliane, probabilmente non ne sarebbe uscito vivo e, se lo avesse fatto, sarebbe stato processato in un tribunale militare, messo in detenzione amministrativa o mandato in esilio.
Quando si tratta di ebrei che fanno la stessa cosa, c’è una lunga tradizione di precedenti che l’hanno fatta franca dopo minacce e rappresaglie violente. Nei primi anni ’80, negli ultimi giorni del ritiro di Israele dalla penisola del Sinai, i membri del gruppo terroristico Kach di Meir Kahane si sono barricati all’interno della sinagoga dell’insediamento, disseminando il perimetro con bombole a gas e dicendo che avrebbero preferito morire piuttosto che rinunciare al paese. Essi non sono stati uccisi. Essi non sono stati perseguiti. Nena News
(Traduzione a cura di Giorgia Grifoni)