E mentre la pandemia fa sempre più paura nella Striscia, un rapporto dell’Unctad (Onu) spiega come il blocco israeliano sia costato oltre 16 miliardi di dollari ai suoi abitanti, di cui un milione ora vive al di sotto della soglia di povertà
della redazione
Gaza, 2 dicembre 2020, Nena News -«Entro una settimana non saremo in grado di occuparci dei casi critici causati dal coronavirus». Non lascia spazio alle interpretazioni l’allarme lanciato nei giorni scorsi da Abdelnaser Soboh, responsabile per l’Organizzazione mondiale della sanità dell’emergenza Covid-19 nella Striscia di Gaza. Il rischio tanto temuto a marzo, all’inizio della pandemia, è diventato una drammatica realtà in questo lembo di terra palestinese martoriato negli ultimi anni dalle offensive militari israeliane, penalizzato dalla scarsità di acqua potabile e di energia elettrica e che fa i conti con la precarietà delle infrastrutture civili. Il numero dei contagi è in rapido aumento e la percentuale di tamponi positivi è oltre il 20%. «Molto presto la nostra sanità non sarà in grado di assorbire un tale aumento dei casi e potrebbero esserci malati che non troveranno posto nelle terapia intensiva», avverte da parte sua Abdel Raouf Elmanama, membro della task force pandemica di Gaza.
Fino a qualche settimana fa le conseguenze della pandemia erano state relativamente lievi a Gaza, dove vivono poco più di due milioni di palestinesi: 65 decessi sui circa 15mila contagi. Numeri nettamente più bassi rispetto ad altre zone del mondo. I casi gravi però ora aumentano rapidamente. Settantanove dei 100 respiratori disponibili sono già occupati. L’ospedale «Europeo» di Khan Yunis, il principale centro Covid di Gaza, è saturo e ogni giorno davanti ad esso decine di sospetti positivi fanno code di ore il tampone ed essere assistiti.
Israele ha consentito nei mesi scorsi l’ingresso a Gaza di 60 respiratori e di una decina dispositivi per i tamponi. Il fabbisogno però è più alto. E i palestinesi puntano il dito proprio contro il blocco israeliano che, denunciano, non ha permesso di riorganizzare in modo più efficiente il sistema sanitario della Striscia. Nei giorni scorsi il movimento islamico Hamas – che controlla Gaza dal 2007 – attraverso gli egiziani ha avvertito Israele che la situazione sta per «andare fuori controllo». Stando a fonti ben informate citate dal quotidiano Al Akhbar, i recenti razzi lanciati da Gaza verso il territorio israeliano non sono altro che un segnale di allarme. «Servono subito una decina di macchinari per l’analisi dei tamponi e altri 40 respiratori per coprire le necessità delle prossime settimane. Altrimenti il fallimento del piano di assistenza ai malati sarà inevitabile, con conseguenze drammatiche», ci dice il giornalista Aziz Kahlout di Gaza city.
Il messaggio è giunto dall’altra parte delle linee armistiziali. Il ministro della difesa Benny Gantz ha fatto sapere che Israele è pronto «ad arrivare a una soluzione e a contribuire a migliorare le condizioni di coloro che vivono a Gaza». A patto, ha poi aggiunto, che si raggiunga un’intesa che preveda, tra l’altro, il rilascio di due cittadini israeliani e la restituzione delle salme di due soldati morti in combattimento nel 2014. Hamas ripete che lo scambio dovrà prevedere necessariamente la liberazione di un certo numero di prigionieri politici palestinesi da parte di Israele. Due posizioni che non si sono avvicinate negli ultimi anni e difficilmente lo faranno ora, anche di fronte al Covid, con rischi seri di una escalation militare. Qualche mese fa il capo di Hamas a Gaza, Yahya Sinwar (anche lui risultato positivo al coronavirus qualche giorno fa), a proposito del numero insufficiente di respiratori, aveva avvertito che «se Gaza non potrà respirare, allora non respiranno anche gli altri» (gli israeliani).
Ad appesantire il clima è il rapporto presentato dall’Unctad (Onu) nei giorni scorsi che spiega come il blocco israeliano di Gaza sia costato oltre 16 miliardi di dollari ai suoi abitanti – sei volte il valore del prodotto interno lordo di Gaza nel 2018, o il 107% del PIL totale palestinese, compresa la Cisgiordania – e come abbia spinto, tra il 2007 e il 2018, più di un milione di palestinesi al di sotto della soglia di povertà.
Intanto i numeri sempre più elevati del contagio nei Territori palestinesi occupati hanno spinto il premier dell’Autorità Nazionale, Mohammad Shtayyeh, a imporre il lockdown totale in Cisgiordania durante i fine settimana (venerdì e sabato) e il coprifuoco notturno dalle 19 alle 6 del mattino. Nena News
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