L’Autorità per l’Energia non riesce a comprare carburante e l’unica centrale elettrica della Striscia ha smesso di funzionare lasciando la popolazione senza luce dalle 18 alle 20 ore al giorno e mettendo a rischio servizi fondamentali
di Rosa Schiano
Roma, 13 aprile 2016, Nena News – La Striscia di Gaza sta vivendo nuove prolungate interruzioni di elettricità a causa della chiusura dell’unica centrale elettrica della Striscia che ha improvvisamente smesso di funzionare venerdì scorso dopo aver esaurito le proprie riserve di carburante.In mancanza dei fondi necessari, l’Autorità per l’energia di Gaza non ha potuto acquistarne.
L’elettricità manca dalle 18 alle 20 ore al giorno, mentre precedentemente le interruzioni erano di 12 ore quotidiane. L’assenza prolungata di energia elettrica compromette l’erogazione di servizi base e comporta una ulteriore riduzione della fornitura di acqua alle abitazioni, diminuita da 80 a 55 litri a persona al giorno (dati Onu). Inoltre, l’interruzione di energia elettrica costringe i cinque impianti per il trattamento delle acque reflue a saltare dei cicli, implicando così una riduzione della qualità delle acque sversate in mare e il rischio di un riflusso e allagamento delle strade, come già avvenne nel dicembre 2013 quando le acque reflue di una stazione di pompaggio si riversarono nelle strade del quartiere orientale di Zaytoun creando una crisi ambientale.
Alla base della nuova crisi di energia elettrica, l’impossibilità da parte dell’Autorità per l’Energia di Gaza di acquistare carburante per il funzionamento della centrale. Infatti, a dispetto di un accordo raggiunto con il Ministero delle Finanze di Ramallah che aveva acconsentito alla centrale di Gaza una totale esenzione dalle tasse sul carburante, questa è stata gradualmente ridotta a partire mese di gennaio, in concomitanza con l’aumento del costo del carburante.
Un taglio dell’elettricità ad inizio mese aveva colpito anche la Cisgiordania, dopo che la Compagnia israeliana della corrente elettrica aveva deciso di tagliare in parte la fornitura di energia alle città palestinesi, una disposizione motivata da un debito crescente accumulato dalla Società di distribuzione palestinese e dall’Autorità Nazionale di Abu Mazen di quasi 400 milioni di euro. Successivamente fonti locali hanno riferito che l’Autorità Palestinese ha trasferito poco più di 5 milioni di dollari alla Compagnia israeliana per l’elettricità ed un accordo sarebbe stato raggiunto tra le parti per porre fine alla riduzione della fornitura di energia elettrica in Cisgiordania. I palestinesi della Cisgiordania e della Striscia di Gaza importano infatti il 90% della loro elettricità da Israele, mentre una piccola percentuale del fabbisogno energetico viene coperta da energia proveniente da Egitto e Giordania.
A Gaza, prima che la centrale elettrica smettesse di funzionare, operava a circa metà della sua capacità, fornendo circa il 30% (60MW) dell’energia. La restante elettricità viene acquistata da Israele (120 MW) ed Egitto (30 MW).
Qualche malumore è nato recentemente alla notizia del rifiuto da parte del presidente palestinese Mahmoud Abbas di concedere l’autorizzazione per la costruzione di nuove linee elettriche per la Striscia di Gaza, un progetto che avrebbe avuto invece il consenso israeliano e l’appoggio finanziario del Qatar. Il presidente palestinese non ha dato spiegazioni a riguardo, ma per alcuni commentatori palestinesi, Abu Mazen avrebbe negato il permesso per ragioni politiche.
La crisi dell’energia elettrica assume così un carattere politico. Da un lato essa è una conseguenza dell’occupazione israeliana e dell’assedio imposto alla Striscia da ormai otto anni, da ricordare inoltre l’importante presenza di un grosso giacimento di gas naturale nelle acque territoriali palestinesi (a 30 km dalla costa, circa 19 miglia), Gaza Marine, tuttora bloccato nel tentativo di impedire ai palestinesi di gestire le proprie risorse naturali. Da un altro, essa viene esacerbata delle divisioni politiche interne. A farne le spese è la popolazione civile che tuttora sta affrontando le conseguenze dell’ultima offensiva israeliana dell’estate 2014.
Sono ancora 75mila i palestinesi senza casa, riferisce l’Ocha, ufficio Onu per il coordinamento degli affari umanitari nei Territori Palestinesi Occupati. La maggior parte delle famiglie sfollate vive tuttora in condizioni disperate. “È urgentemente necessario un supporto internazionale per porre fine a questa situazione”, ha affermato Robert Piper, coordinatore Onu per gli aiuti umanitari e le attività di sviluppo, aggiungendo cheil sostegno economico necessario per la ricostruzione delle restanti 6mila abitazioni “deve essere accompagnato da cambi significativi a livello politico, compreso l’eliminazione del blocco e progressi verso la riconciliazione palestinese”. Nena News
Rosa Schiano è su Twitter: @rosa_schiano