I palestinesi hanno tutte le potenzialità per puntare all’indipendenza energetica e all’uso di fonti rinnovabili per la produzione di elettricità e calore ma 25 anni dopo gli Accordi di Oslo restano prigionieri dell’occupazione militare israeliana
di Fabian Odeh
Gerusalemme, 13 dicembre 2018, Nena News – L’occupazione israeliana della Cisgiordania e l’assedio di Gaza non è solo una questione territoriale, essa riguarda anche le risorse naturali come l’acqua, il gas e le risorse primarie come il sole e il vento.
Gli Accordi di Oslo del 199 portarono alla divisione della Cisgiordania in tre 3 aree (A, B e C). Questi accordi avevano stabilito i tempi di transizione verso uno Stato palestinese indipendente in cinque anni. Ne sono trascorsi 25 e il controllo di queste aree non è mai passato ai palestinesi se non parzialmente sulle aree A e B che rappresentano meno del 40% del totale del territorio. Il controllo amministrativo e della sicurezza dell’area C è tutt’ora israeliano ed è esercitato dal COGAT “Coordination Of Government Activities in the Territories” e dai suoi ufficiali militari.
L’area C non solo è la più ampia ma è la più idonea per lo sviluppo di progetti energetici, i quali richiedono grandi spazi, come per la realizzazione di parchi fotovoltaici. Studi di fattibilità eseguiti da molti consulenti inviati dalla Banca mondiale ed altri enti di cooperazioni e sviluppo internazionale di paesi “Donors” mostrano un enorme potenziale di produzione energetica da fonte fotovoltaica su queste aree e importanti corridoi per l’utilizzo delle risorse eoliche potenzialmente sfruttabile ma irrealizzabile, in quanto Israele ne vieta lo sviluppo.
Dopo la nascita della Autorità Nazionale Palestinese nel 1994, sorsero una serie di istituzioni e società di distribuzione dell’energia tra cui la Palestinian Energy e la Natural Resources Authority “PENRA”. Quest’ultima è l’istituzione responsabile dello sviluppo delle politiche energetiche della Palestina. Rispetto alla questione energetica, il primo risultato delle politiche di occupazione Israeliane e degli accordi di Oslo è la costrizione per l’Autorità Nazionale Palestinese, ANP, all’acquisto del 92% (97,5% in Cisgiordania e 60% nella Striscia di Gaza) del fabbisogno di energia elettrica della Palestina da Israele a prezzi esorbitanti.
Una serie di problematiche, tecniche e non, fa sì che il costo dell’energia acquistata sia di gran lunga superiore al ricavato tramite bolletta delle società di distribuzione e delle municipalità direttamente collegate alla rete israeliana. Un 2% della domanda energetica palestinese viene acquistato dalla Giordania tramite linee di media tensione e una piccolissima parte, lo 0.5%, viene prodotto localmente con piccoli impianti fotovoltaici. Impianti domestici sui tetti delle case e piccoli impianti di qualche investitore locale oggi portano a 25 MW il totale della potenza elettrica generata in Palestina (l’1% del fabbisogno totale). La potenza elettrica richiesta nella West Bank è di circa 950 MW. Di questi sono disponibili oggi meno di 880 MW e il deficit si traduce in blackout nello ore di picco del carico elettrico.
A Gaza la situazione è ancora più drammatica. La domanda attuale supera i 450 MW. Oggi solo 200 MW sono disponibili a causa delle forti limitazione di fornitura da Israele e della scarsità di gasolio necessario a far funzionare l’unica centrale elettrica esistente. Quest’ultima potrebbe essere convertita all’utilizzo del gas naturale presente nei giacimenti off-shore palestinesi ma anche in questo caso Israele ne vieta l’estrazione. Una vecchia linea di media tensione egiziana contribuisce alla fornitura ma viene spesso interrotta e il risultato è una disponibilità secondo un programma variabile di 4 ore di connessione alla rete e 12 ore di blackout. L’utente, quando può, è così costretto ad acquistare l’energia al mercato nero locale, arrivando a pagare per chilowattora anche 1,2 Euro.
Nulla di tutto questo turba l’operato della società dell’energia israeliana “IEC”. Le autorità israeliane infatti detraggono qualsiasi mancato pagamento della spesa energetica dagli introiti delle tasse e della dogana palestinesi controllandone la gestione. L’alto tasso di crescita demografica della popolazione palestinese (2.7%) in Cisgiordania (3.4%) a Gaza non trova quindi spazi geografici e risposte energetiche adeguate. Il consumo pro-capite di energia elettrica in Cisgiordania è di 1900 kWh all’anno mentre un abitante di Gaza consuma 750 kWh all’anno. Altro ordine di grandezza è il consumo pro-capite in Israele che supera i 7000 kWh all’anno. Risulta quindi di primaria importanza lo sviluppo di politiche per ridurre la forte dipendenza energetica da Israele. Nonostante l’impegno del ministero dell’energia palestinese in questo senso, ci si trova oggi a una situazione di stallo. Nel Novembre 2018 infatti il ministero dell’energia ha ricevuto una lettera dall’amministrazione civile israeliana intimando il blocco di qualsiasi nuova iniziativa nel settore fotovoltaico da parte dell’Autorità, comprese le aree A e B dove Israele non ha ufficialmente alcun controllo amministrativo.
Tutta l’attività pro investimento e di incoraggiamento del settore privato alla produzione energetica rinnovabile rischia di essere compromesso: nessun investitore vorrebbe vedere il suo impianto di produzione fermo a causa dei sigilli israeliani. L’amministrazione civile israeliana giustifica il nuovo ordine attribuendolo a problemi tecnici, ben consapevole di aver compromesso un adeguato sviluppo dell’infrastruttura del settore. A questo si aggiunge la proibizione, in vigore da tempo, di costruire linee di alta tensione per il trasporto dell’energia vietato in Cisgiordania per questioni di sicurezza. È vietato inoltre la costruzione linee di media tensione nelle aree C per trasportare l’energia elettrica alle zone con più alto bisogno.
Il ministero dell’energia dell’Anp ha condannato l’ammonimento israeliano, insistendo sull’importanza dello sviluppo di strategie energetiche sostenibili, consapevole dei propri limiti, principalmente imputabili alle politiche di dipendenza energetica create dal regime di occupazione militare. Nena News