Dentro il campo profughi palestinese a Beirut si incontrano le storie e le speranze di tanti: dei giovani siriani che sognano l’Europa e degli anziani palestinesi che desiderano solo tornare nella propria terra
foto e testo di Valentino Armando Casalicchio
Beirut, 19 febbraio 2016, Nena News – Oggi è una giornata soleggiata, calda. Beirut offre la solita atmosfera movimentata: taxi e macchine dappertutto, con gente che urla e contratta per farsi portare dall’altra parte della città per il prezzo di un service, 2000 lire libanesi (1,20€ circa).
A Shatila, un quartiere-campo profughi a sud della città, il mercato ravviva la giornata sin dalle prime ore del mattino. I tipici odori di manouche – la “pizza” libanese – e di caffé al cardamomo uniti alle due chiacchiere scambiate con alcuni ragazzi di un bar, ti regalano il buongiorno migliore. Uno di questi ragazzi si chiama Ibrahim, siriano di 26 anni. Orgoglioso della sua città, il suo sorriso non cede quando pronuncia la città da dove viene – Raqqa -, ora nota a tutti come la “capitale” del sedicente Stato Islamico.
”Sono scappato perché se non mi fossi fatto crescere la barba mi avrebbero tagliato la testa. Ora sto aspettando la mia famiglia che è riuscita a prendere un bus per scappare in Libano. Il nostro progetto è di andare in Europa, anche via mare”, afferma sorridendo. Perché raggiungere il Vecchio Continente, anche rischiando la propria vita, è una delle poche speranze che hanno i rifugiati in Libano.
A causa dell’elevato numero di guerre nel mondo , la libertà di circolazione negli ultimi anni è diventata un privilegio per pochi: solamente i ricchi e i cittadini di una piccola porzione di mondo possono muoversi liberamente. Un’altra parte di pianeta è rinchiusa in zone di guerra, tra carestie e bombe. E’ il caso dei siriani: cittadini di un paese sviluppato e altamente scolarizzato, nel giro di pochi anni ridotto alla miseria profonda, a causa di un conflitto nazionale, regionale e internazionale.
“Molti ragazzi sono scappati dalla Siria perché non volevano sparare contro la propria gente” sostiene Ibrahim, mentre sorseggia del caffè nerissimo. Dall’inizio della guerra civile, ribelli e lealisti reclutano quotidianamente nuovi soldati senza offrir loro la possibilità di scelta. “Questa è la guerra!” ribadisce il giovane siriano.
I giovani siriani vedono il Mediterraneo come unico ostacolo che li divide da una vita tranquilla e dignitosa, senza la paura di essere rapiti dalle forze di sicurezza nazionali, oppure obbligati a combattere contro chi, fino a qualche anno fa, era magari un vicino di casa. Le strade di Shatila non raccontano solo storie di ragazzi che attraverserebbero il mar Mediterraneo per conquistare la pace, ci sono anche persone che vorrebbero tornare a casa propria e non possono. E’ il caso di Abu Jamal, 70 anni, palestinese. Vive a Shatila dal 1949, viene da Nahariyya, un villaggio a 20 km dalla frontiera libanese.
“Casa mia è lì, la posso vedere, ma non posso raggiungerla – afferma l’anziano signore – Ma prima o poi torneremo. Io e mio figlio”. Il figlio di Abu Jamal è scomparso dal 1982, anno del Massacro di Sabra e Shatila, dove alle migliaia di morti si sommarono centinaia di “scomparsi”. Questo padre non ha mai perso le speranze di ritrovare suo figlio; con sguardo fiero mi mostra una spilla con la sua foto che tiene sempre attaccata alla giacca.
L’espressione orgogliosa di questo signore è il simbolo di un popolo, quello palestinese, che combatte tutti i giorni con la storia, senza arrendersi alle difficoltà e alle tragedie. “Un giorno un signore mi confidò il suo sogno: vorrei che il sole raggiungesse le finestre di casa mia”, dichiara Jamila, direttrice della sezione Shatila di Beit Atfal Assoumoud , una ONG che lavora nei 12 campi palestinesi in Libano.
Un sogno che può sembrare banale per tanti, ma non per gli abitanti del campo: nella maggior parte dei casi vivono in edifici dove la luce del sole non arriva a causa dell’assembramento di costruzioni, ad un metro l’un dall’altra. Ed è proprio a causa di ciò che molti bambini soffrono di problemi alla vista.
Sono migliaia le persone dentro questo piccolo perimetro che non hanno accesso ai beni di prima necessità, né ad un lavoro dignitoso. Ma la speranza e l’orgoglio di un popolo non mancano mai. Nena News
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