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La storia del corridore olimpico al Farra e delle difficoltà di fare sport a Gaza. Le violazioni israeliane nel rapporto della Federcalcio palestinese. Due atleti feriti a febbraio: non potranno più giocare.

FOTO 1: Il corridore Bahaa al Farra con l’allenatore Ibrahim Abu Hasira e il collega Mohammed Abu Khousa

FOTO 2: Bahaa si allena allo Stadio Yarmouk di Gaza City

FOTO 3-4: Atleti si allenano nello Stadio Yarmouk, ancora danneggiato dai bombardamenti israeliani del novembre 2012

FOTO 5-6: Il corridore Bahaa durante l’allenamento

FOTO 7-8-9: Una partita di calcio allo Stadio Yarmouk

FOTO 10: Partita di pallacanestro a Gaza City

FOTO 11: Lo Stadio Palestine distrutto durante l’operazione militare israeliana del novembre 2012, “Pilastro di Difesa”

FOTO 12: L’ufficio del Palestinian Paralympic Committee distrutto durante offensiva “Pilastro di Difesa”

 

Testo e foto di Rosa Schiano

Gaza City, 28 febbraio 2014, Nena News – All’ombra degli spalti dello Stadio Yarmouk di Gaza City, ancora danneggiati dai bombardamenti israeliani, il giovane corridore olimpico dei 400 metri, Bahaa Al Farra, si allena. Bahaa aveva partecipato alle Olimpiadi di Londra nel 2012 insieme ad altri tre atleti palestinesi: “Ho iniziato a correre all’età di 14 anni, di solito usavamo gareggiare tra studenti. Gli allenatori assistevano alle competizioni e selezionavano i migliori giocatori”.

È così che ha conosciuto 7 anni fa il suo attuale allenatore Ibrahim Abu Hasira: “Nel 2005 avevo avuto la possibilità di gareggiare in una competizione in Egitto, ma a causa della chiusura del valico non ho potuto partecipare. Ogni volta che si presentano occasioni affrontiamo problemi legati all’assedio ed alle aggressioni militari. Diverse volte ho interrotto l’attività sportiva per depressione o cattivo umore. La prima volta che sono uscito dalla Striscia è stato nel 2011 quando mi sono recato in Corea, ero molto motivato. Poi nel marzo 2012 ho gareggiato in Instanbul e nell’agosto 2012 a Londra per i giochi olimpici. Dopo una settimana però ci hanno detto che saremmo dovuti ripartire; infatti, a causa dei problemi nel Sinai, avremmo rischiato di non poter rientrare nella Striscia”.

“Londra è stata una grande esperienza – continua Bahaa – Ho incontrato atleti medaglie d’oro. Spero che un giorno a vincerle siano i palestinesi. È stato bello vedere come la gente supporta gli atleti, ho sentito una grande emozione, spero un giorno di salire sul podio. Io corro per rappresentare il mio Paese, la mia gente, per fare in modo che gli altri popoli conoscano la Palestina. Corro per dimostrare che nonostante la sofferenza in cui viviamo, alcuni corridori escono dal buio e riescono a fare qualcosa di importante”.

Non ci sono nella Striscia di Gaza impianti sportivi di qualità dove i corridori possano allenarsi, ci spiega Al Farra: “Questo suolo – indica il terreno su cui si allena – non è adatto per i corridori, e richiederebbe scarpe adeguate”.  Lo stadio Yarmouk è sprovvisto di una pista di atletica leggera,  mancano attrezzature per l’atletica, i blocchi di partenza. È necessario allenarsi al loro utilizzo, ma gli atleti della Striscia ne hanno la possibilità soltanto quando vanno all’estero o poco prima delle competizioni.

Il giovane Al Farra ha perso almeno cinque opportunità di viaggiare all’estero per allenarsi o per gareggiare a causa della chiusura del valico di Rafah: “A volte quando si presenta un’occasione, dico ‘arrivederci’ ad amici e famiglia, vado al valico, e poi torno indietro a casa”. Dalla destituzione del presidente egiziano Morsi nel luglio 2013, l’apertura del valico di Rafah, che collega Gaza all’Egitto, è limitata. Le nuove autorità egiziane aprono il valico solo sporadicamente, rafforzando così l’assedio israeliano ed isolando maggiormente la popolazione palestinese.

Bahaa al Farra, ora, spera di gareggiare nelle Olimpiadi del 2016 in Brasile: “Speriamo ci siano organizzazioni internazionali che possano sponsorizzare gli atleti palestinesi. Abbiamo bisogno di campi dove allenarci”. Ventuno anni, Bahaa si allena ogni giorno, eccetto il venerdì, nel campo sportivo di Yarmouk, in spiaggia o in strada. Come per tutti i palestinesi della Striscia, l’assedio incide sulla sua vita quotidiana: “A volte torno a casa dopo l’allenamento e non ho possibilità di fare una doccia perché a causa della mancanza di elettricità non c’è acqua calda”.

Secondo il suo allenatore Ibrahim Abu Hasira, “lo stato psicologico dei corridori rappresenta uno degli aspetti peggiori. Gli ostacoli che gli atleti devono affrontare provocano un grande danno. Spesso essi soffrono di depressione. Ho bussato alle porte di molte organizzazioni, mi hanno risposto che non ci sono donazioni. Io cerco di incoraggiare gli atleti ad uccidere la depressione causata dall’assedio, li tratto da padre, non da allenatore. Cerco di far superare loro i problemi psicologici. Qui per tutti gli atleti non ci sono possibilità. Sono stato in molti Paesi europei in passato, ho visto come viene considerato lo sport. Se si volesse comparare la loro condizione a quella di Gaza, si potrebbe dire che a Gaza non c’è vita. Quando gli atleti riescono ad uscire dalla Striscia, conoscono la vita negli altri Paesi, si sentono molto motivati, poi tornano qui alla depressione”.

 

Violazioni israeliane: il rapporto della Federcalcio palestinese

È di pochi giorni fa la pubblicazione in rete di un documento sulle violazioni israeliane contro gli atleti palestinesi redatto dalla Federazione Calcio Palestinese e che era stato presentato al congresso annuale della FIFA nel 2013. Tali violazioni, che erano state denunciate dal Presidente del Comitato Olimpico Palestinese e della Palestinian Football Association, Jibril Al Rajoub, nel corso di una conferenza stampa tenuta nel giugno del 2013 e pubblicata su diversi siti internet delle Nazioni Unite, riguardano soprattutto le restrizioni sul movimento degli atleti palestinesi, allenatori e dirigenti di associazioni sportive, nonché di esperti internazionali, consulenti,  istruttori e rappresentanti  di organismi quali la FIFA e sull’entrata delle attrezzature sportive in Palestina. Rajoub aveva anche sottolineato come le autorità israeliane avevano impedito la costruzione di impianti sportivi sul territorio palestinese se troppo vicine agli insediamenti israeliani.

Il documento sottolinea quanto lo sport, ed il calcio in particolare, affronti una serie di deterrenti ed ostacoli, la cui causa principale è l’occupazione militare israeliana. Il calcio, si dichiara nel documento, dovrebbe avvicinare le persone, promuovendo l’etica, costruendo ponti di amicizia tra i popoli, e dovrebbe essere basato sui valori della pace e sulla competizione leale. Le restrizioni imposte dalle autorità israeliane  danneggiano invece il morale dei giovani calciatori palestinesi , minano il loro futuro di atleti e ostacolano la crescita del calcio e dello sport in generale in Palestina.

Le violazioni messe in atto dalle autorità israeliane includono violazioni dei diritti umani contro gli atleti palestinesi, molti dei quali sono stati arrestati; restrizioni sulla libertà di movimento di atleti ed altre figure sportive; impedimenti ed ostacoli alla realizzazione di strutture sportive o distruzione delle strutture esistenti (come avvenuto nel corso dei bombardamenti sulla Striscia di Gaza in cui stadi e club sportivi sono stati distrutti); restrizioni nel ricevimento di attrezzature sportive inviate dalla FIFA o donate da altre Federazioni ed organizzazioni sportive, o rilascio delle donazioni dietro pagamenti di esorbitanti imposte;  interferimento nell’organizzazione di partite amichevoli tra Palestina ed altre associazioni attraverso interventi politici e pressioni con il proposito di scoraggiare squadre internazionali a svolgere amichevoli con squadre palestinesi; e infine interventi militari durante gli incontri calcistici.

Queste azioni costituiscono una violazione dei diritti fondamentali previsti dallo statuto della FIFA e della Carta Olimpica. Il documento riporta esempi di atleti uccisi dalle forze militari israeliane o arrestati, come il calciatore Mahmoud Sarsak, detenuto mentre stava uscendo dalla Striscia di Gaza per recarsi in Cisgiordania al fine di disputare una partita con un nuovo club, detenuto per più di tre anni senza processo e rilasciato nel 2012 dopo 90 giorni di sciopero della fame e su pressione del presidente della FIFA, di altri organi sportivi e dell’opinione pubblica internazionale.

Come avviene per l’intera popolazione palestinese, i checkpoint israeliani impediscono agli atleti di muoversi liberamente tra le città palestinesi, mentre giocatori che vivono all’estero non ottengono facilmente permessi per entrare nei territori palestinesi. Per i giocatori della Striscia di Gaza è difficile entrare in Cisgiordania. Come il resto della popolazione della Striscia, devono ottenere un permesso speciale ed indicare il motivo della visita, oltre alla città di destinazione.  Se un atleta deve recarsi a Ramallah e, per una qualche ragione si ritrova in un’altra città palestinese, rischia di essere deportato a Gaza. Anche i permessi per andare in Giordania vengono ottenuti dopo attese estenuanti che influiscono negativamente sulle prestazioni degli atleti. Queste misure restrittive impediscono ai giocatori della Striscia di Gaza  di unirsi alla squadra nazionale palestinese ed agli atleti di Gaza di gareggiare in Cisgiordania, come avvenuto il 21 febbraio del 2013 quando le autorità israeliane hanno impedito a 23 corridori di partecipare alla International Palestine Marathon in Betlemme senza fornire alcuna ragione.

Così quando gli atleti palestinesi di Gaza non ottengono il permesso da parte delle autorità israeliane per andare in Cisgiordania, devono viaggiare separatamente e raggiungere la loro squadra all’estero. Ritardi ed ostacoli ai valichi possono causare la perdita del volo.

L’ultima violazione contro gli atleti palestinesi è avvenuta il 31 gennaio, quando due giovani promettenti calciatori palestinesi, Jawhar Nasser Jawhar, 19 anni, e Adam Abd al-Raouf Halabiya, 17 anni, di ritorno da un allenamento nello stadio Faysal al-Husseini della città di al-Ram, in Cisgiordania, sono stati feriti dall’esercito israeliano nei pressi di un checkpoint. Mentre i due camminavano, i soldati israeliani hanno aperto il fuoco ed hanno liberato i cani per attaccarli. Li hanno trascinati per strada e picchiati. Trasportati in un ospedale di Gerusalemme, i due hanno subito numerose operazioni per l’estrazione dei proiettili. Jawhar è stato ferito da 11 pallottole, di cui sette nel piede sinistro, tre nel destro e uno nella mano sinistra. Halabiya è stato ferito da un proiettile in ogni piede. I dottori dell’ospedale di Ramallah, nel quale sono stati trasportati prima di essere trasferiti al King Hussein Medical Center di Amman, hanno dichiarato che ci vorranno sei mesi di trattamenti solo per valutare se i due potranno mai tornare a camminare.

Il presidente della Palestinian Football Association, Jibril Rajoub, ha per questo chiesto l’espulsione di Israele dalla FIFA per le sue politiche razziste, ben lontane delle leggi internazionali: “La brutalità israeliana contro i due ragazzi – ha dichiarato Rajoub – sottolinea l’insistenza dell’occupazione nel distruggere lo sport palestinese”. I due giovani calciatori palestinesi non potranno più tornare a giocare.

Tre giorni, il 3 febbraio, insieme al presidente della FIFA Blatter, il presidente della Federcalcio israeliana, Avi Luzon, e Jibril Al Rajoub si sono incontrati a Zurigo per discutere dell’attuazione dei parametri concordati nel corso della riunione del 23 settembre per facilitare il movimento dei giocatori, allenatori, arbitri, funzionari e delle attrezzature da, verso e attraverso la Palestina. Il processo, che rientra nella “FIFA task force Israel-Palestine” annunciata da Blatter nel luglio 2013, sarà monitorato dalla FIFA. Nena News

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