Il presidente della federazione internazionale del calcio, Gianni Infantino, continua a rimandare ogni decisione sulla questione aperta della partecipazione ai campionati israeliani di club che fanno capo alle colonie costruite nei Territori palestinesi occupati
di Flavia Lepre
Roma, 30 marzo 2017, Nena News – I due ravvicinati pronunciamenti dell’ONU a conferma dell’inaccettabilità giuridica della acquisizione di terra con la forza, anche quando avviene da parte d’Israele, e dell’ingiunzione a questo Stato di ritirarsi dai territori occupati nel 1967 (Cisgiordania inclusa Gerusalemme Est, Gaza e Golan), non hanno avuto molte conseguenze, tranne le ire israeliane, che uniche hanno ottenuto una discreta cassa di risonanza nei media italiani, per lo più afoni per le motivazioni dell’ONU. Quanti conoscono i contenuti della Risoluzione del Consiglio di Sicurezza 2334 del 23 dicembre 2016? Quanti sono a conoscenza di documentazione ed argomentazione del rapporto di Rima Khalaf, Direttrice della Commissione economica e sociale delle Nazioni Unite per l’Asia Occidentale (ESCWA) dello scorso 15 marzo?
L’imposizione del silenzio alle voci critiche verso Israele da una parte limita fortemente lo sviluppo dell’informazione e del confronto e dall’altra rende sempre più impermeabile questo Stato ad ogni stimolo al pluralismo ed al rispetto del Diritto Internazionale, come si è dovuto constatare con preoccupazione per le reazioni verso la stessa ONU. In Italia il clima appare particolarmente pesante, per la malleabilità manifestata da diverse Amministrazioni locali ed Università nei confronti delle pressioni esterne. La stessa etichettatura differenziata dei prodotti delle colonie, decisa dall’UE in parziale attuazione del diritto internazionale (in omaggio al quale essi non dovrebbero avere accesso al mercato, come notato nel corso del Congresso dei Giuristi Democratici nel 2015 a Napoli), non ha lasciato traccia nei nostri negozi e supermercati. Insomma, sembra che siamo spinti verso un’illegalità pubblica istituzionalizzata, con grave rischio per la nostra vita democratica. Nonostante l’ingiunzione di non parlare delle condizioni in cui versano i Palestinesi e soprattutto delle loro cause, gli attivisti per la Palestina non si danno per vinti e le loro iniziative, anche esiliate da sedi istituzionali, hanno successo. Anche alcuni Enti Locali resistono nella saldezza della loro autonomia e dei principi di rappresentanza dei cittadini che alle pressioni, ma sono presi a bersaglio di accuse ridicole.
Lo sport, ed in particolare il calcio, è un terreno su cui la rappresentanza palestinese dell’ANP dopo l’ammissione all’ONU come Stato non membro con status di osservatore permanente nel 2012, ha incominciato a muoversi ed a puntare per una riconoscibilità internazionale.
Il ruolo della FIFA, anche in ambito politico non è trascurabile, anzi è stato considerato significativo nella stessa lotta all’apartheid sudafricana. Ai Congressi della federazione mondiale di calcio Rajoub ha presentato ripetutamente le problematiche più gravi e diffuse che impediscono ai palestinesi una regolare vita sportiva, prima fra tutte gli impedimenti che l’occupazione israeliana di Cisgiordania e l’assedio di Gaza frappongono alla mobilità di personale sportivo, dai calciatori e dagli arbitri ed allenatori ai funzionari palestinesi ed ospiti, e dei materiali per lo sport; incarcerazioni senza capo d’accusa, ferimenti ed uccisioni di calciatori, irruzioni, chiusure e divieti di costruzione d’impianti sportivi e sedi di club, assalti alle squadre di Gerusalemme Est…
Nel 2013, in seguito del 63° Congresso della FIFA, il Presidente Blatter rispose alle sollecitazioni istituendo una Task Force che avrebbe dovuto aiutare a sciogliere le difficoltà denunciate, attraverso la promozione di una cooperazione tra palestinesi ed israeliani e sotto la sua direzione e con la presenza dei presidenti Uefa e AFC. Dopo due anni, non si riscontrarono progressi significativi.
Nel 65° Congresso del maggio 2015, a Zurigo, il rappresentante palestinese presentò la richiesta di sospensione della federazione israeliana (IFA) dalla FIFA. Nel frattempo, era emersa anche l’esistenza di sei squadre delle colonie israeliane in Cisgiordania che giocano nei campionati israeliani. Per motivi che non sono mai stati del tutto chiariti, con grande sconcerto da parte dei numerosi attivisti internazionali che avevano sin dal 2011 dato vita alla campagna Red Card Israeli Apartheid/Racism e molti dei quali erano accorsi a Zurigo, sede del Congresso, a manifestare in sostegno della mozione palestinese, il presidente della PFA ritirò la mozione ed accettò la proposta di Blatter, in precedenza rifiutata, dell’istituzione di una Commissione di monitoraggio, presieduta dall’imprenditore sudafricano ed attivista antiapartheid Tokyo Sexwale.
Nel corso del 2016 la questione dei sei club delle colonie ha catalizzato l’attenzione ed ha assunto una posizione centrale nelle richieste e mobilitazioni internazionali. Si appellano alla FIFA perché obblighi l’IFA a trasferire su territorio israeliano i tornei delle colonie in Cisgiordania, Human Right Watch, sessantasei deputati dell’Unione Europea, migliaia di firme on line, la lettera di trenta parlamentari svizzeri a Infantino, succeduto alla presidenza FIFA.
Quali probabilità di successo ha la richiesta palestinese alla FIFA di imporre l’esclusione delle sei squadre di insediamenti (illegali tutti per il diritto internazionale) dal campionato israeliano? Nel calcio, come in ogni altro settore, sembra che siano giunti e pressanti i condizionamenti, se ne ha conferma dall’intervista a Simon Johnson, capo esecutivo inglese del Consiglio della Lega Ebraica, chiamata a ricercare le basi legali per intraprendere azioni contro il lavoro del Comitato di Monitoraggio della FIFA sulle squadre degli insediamenti. Forse il ritiro della richiesta di sospensione dell’IFA fu una conseguenza di queste ingerenze.
La richiesta avanzata alla FIFA di dare ascolto alle numerose segnalazioni sulla situazione di apartheid israeliana, è contrastata da una presunta “neutralità” dello sport rispetto alla politica. E pure, sembra che questa enunciazione sia utilizzata con una certa disinvolta mutevolezza. “Quanto a calcio e politica, (…) la politica si era servita in vari dosaggi del pallone, in Italia come nel resto del mondo, e nella storia. Basti ricordare l’Argentina di Videla e i suoi Mondiali insanguinati del ’78, accettati dalla diplomazia internazionale”.
Scrivono Oliviero Beha e Andrea Di Caro nel loro INDAGINE SUL CALCIO di più di dieci anni fa. Politici furono i motivi per cui l’IFA, federazione israeliana, nel 1974 abbandonò il suo naturale campionato continentale dell’AFC: “Israele decise però di lasciare l’AFC Confederazione Calcio Asiatica nel 1974 per motivi politici.” recita la scheda di presentazione del Campionato nazionale israeliano sul sito ufficiale della UEFA. Ancora politica l’apertura che nel 1994 (dopo gli Accordi di Oslo e grazie ad essi) permise all’IFA di entrare dopo lunghe trattative nella UEFA. Israele esplicitò in modo inequivocabile quanto conti sul calcio per assestare la propria posizione internazionale, in particolare quando ospitò le finali della UEFA under 21 del 2013.
Avi Nimni, ex capitano della nazionale israeliana e ambasciatore della fase finale degli Europei U21 dichiarò: “Il risultato più importante finora è che il torneo si svolga in Israele”. Se lo sport non ha a che fare con la politica, perché sulla questione si sarebbe espresso il premier Netanyahu? Perché si sarebbe dichiarato alla Knesset che la IFA è organo dello Stato e suo rappresentante all’estero?
Gianni infantino, attuale Presidente della FIFA, sull’argomento delle sei squadre degli insediamenti grande temporeggiatore, nel 2013 come Segretario generale della UEFA, alla richiesta di Desmond Tutu affinché la Uefa non lasciasse che il campionato si svolgesse in Israele, secondo il quotidiano israeliano Haaretz, rispose: “La UEFA e la federazione israeliana sono responsabili per il calcio, non possono essere ritenute responsabili delle politiche di un governo nazionale”, rifiutando di condannare Israele (del 2012 sono i bombardamenti di Gaza nell’operazione militare “colonna di fumo”) o di accettare che la competizione fosse spostata. Tuttavia fu proprio Gianni Infantino, nel 2014, solo un anno dopo, e nella stessa veste di Segretario Generale della UEFA, a bandire dall’UEFA le squadre che giocano in Crimea e che dopo l’annessione nel 2014 fanno parte della Federazione Russa.
Anche ora, Infantino come Presidente della FIFA, sembra poco incline ad accogliere le ingiunzioni del diritto internazionale e le richieste palestinesi di applicare gli articoli 10-1, 13-1/i e 17-1 degli Statuti FIFA nei confronti di Israele. E pure questa problematica ereditata da Blatter dovrebbe risultargli abbastanza chiara per averla affrontata e risolta con la Crimea e la Russia. Imporre alla Federazione israeliana (IFA) l’esclusione dal suo campionato delle sei squadre delle colonie che vi sono tesserate, o, in alternativa, escludere l’IFA dalla FIFA. Il terreno gli è stato spianato dal suo predecessore, che si era rivolto all’ONU per avere certezza che le località di queste sei squadre fossero effettivamente territori palestinesi occupati da Israele. Le risposte sono state chiare, inequivocabili e scontate: sono territori occupati e, successivamente, anche la Risoluzione 2334 lo ha riconfermato.
Che la questione sia politica e, come tale, di politica sportiva, non sfugge. La pretesa israeliana che lo sport non abbia niente a che vedere con la politica, è palesemente falsa. Anche l’opposizione israeliana alle richieste di applicazione dello Statuto FIFA è tutta politica: insistere nel permanere nella FIFA pur tesserando i club delle colonie è incamerare un riconoscimento implicito dell’annessione delle colonie ad Israele, così come dopo l’elezione di Trump alla presidenza degli USA lo Stato ebraico ha mostrato di voler fare, con la legge approvata il 6 febbraio dalla knesset per la “legalizzazione” di 4mila insediamenti israeliani costruiti su terreni privati palestinesi, immancabilmente e senza tema di smentita illegali per il diritto internazionale.
Il Presidente della Federazione Israeliana di Calcio (IFA), Ofer Eini, ha rifiutato di spostare le partite dagli insediamenti coloniali sul territorio d’Israele.
La decisione è tornata per intero alla FIFA. Secondo i nuovi Statuti, adottati nel Congresso straordinario del febbraio 2016 a Zurigo, soltanto il Consiglio può decidere la sospensione o l’espulsione di un’associazione membro nel Congresso annuale. Pertanto, per l’espulsione dell’IFA dalla FIFA bisogna che la decisione sia presa dal Consiglio.
Il Presidente del Comitato di monitoraggio, Sexwale ha confermato che i problemi del calcio palestinese sono di natura politica, ma non ha fatto in tempo a presentare il proprio rapporto entro il 10 febbraio 2017, ultima data utile affinché potesse essere discusso nel prossimo 67° Congresso che si terrà l’11 maggio, pare che glielo abbiano impedito gli ostacoli frappostigli dall’IFA e dalla FIFA stessa. Il Comitato Esecutivo Asiatico (AFC) il 28 Febbraio a Kuala Lumpurha ha insistito che la FIFA individui una risoluzione urgente.
La PFA ha fatto sapere che se non avrà risposta dalla FIFA, si rivolgerà alla Corte di Arbitrato dello Sport. Nel frattempo, la campagna di boicottaggio sportivo è stata assunta dal BNC (Comitato Nazionale Palestinese del Boicottaggio Disinvestimenti e Sanzioni contro Israele), che ha prodotto un appello all’azione. La campagna Red Card Israeli Apartheid-Racism/Cartellino Rosso all’Apartheid Israeliana, volta a denunciare l’uso dello sport per “normalizzare” oppressione, occupazione ed apartheid, si è riaccesa l’estate scorsa, con le manifestazioni di tifosi in Gran Bretagna, quella del Celtic ha avuta una certa eco mediatica per la determinazione degli sportivi, che hanno dato vita ad una colletta per consentirsela, pagando l’immancabile multa imposta dal governo calcistico.
Anche al San Siro di Milano lo scorso 15 settembre gli attivisti hanno manifestato, fuori dello stadio, durante la partita Inter- Hapoel Beer Sheva. Migliaia di persone hanno dimostrato il 24 marzo nelle strade della città spagnola di Gijon contro la competizione Spagna-Israele per le qualificazioni dei mondiali 2018 in Russia. A Napoli, le squadre di calcio popolare con il Comitato BDS Campania hanno dato vita ad un programma di sensibilizzazione e mobilitazioni, e si rivolgeranno a Maradona, chiamato da Gianni Infantino a collaborare con l’organo di governo mondiale del calcio, perché sostenga le richieste palestinesi. Altro si attende, ma non si sa se per i palestinesi arriverà almeno la giustizia sportiva. Nena News