Il raid sarebbe avvenuto oggi alle ore 3:42 dal territorio libanese. Tel Aviv non commenta. L’opposizione siriana, intanto, denuncia: “In 48 ore almeno 110 morti per mano del regime”. L’Onu apre una indagine sull’uso del gas clorino da parte dell’esercito governativo. Rouhani chiede ad Ankara di porre fine all’offensiva su Afrin
della redazione
Roma, 7 febbraio 2018, Nena News – I caccia israeliani hanno colpito oggi una postazione militare vicino a Damasco provocando la risposta del sistema difensivo della Siria. A denunciarlo è una nota dell’esercito siriano. Secondo il comunicato, i jet da guerra di Tel Aviv hanno lanciato diversi missili dall’interno del territorio libanese alle ore 3:42. L’attacco sarebbe stato però respinto dal sistema anti-missilistico siriano: “Il nostro sistema di difesa – si legge nella nota – ha bloccato i missili e ha distrutto la maggior parte di loro. Il comando generale delle forze armate ritiene Israele pienamente responsabile per le conseguenze pericolose delle sue ripetute e aggressive avventure [militari]”. Damasco, però, non specifica nel testo se sono stati causati danni a cose o persone. Né tanto meno filtrano dettagli da Israele dove l’esercito fa sapere di non voler commentare la notizia.
L’osservatorio siriano (l’Os) per i diritti umani, ong di stanza a Londra e vicino all’opposizione, conferma l’attacco: secondo la sua versione, alcuni missili “hanno preso di mira le postazioni dell’esercito siriano e dei suoi alleati” nell’area di Jamraya (ovest di Damasco). Jamraya, situata a poco più di 12 chilometri a nord est di Damasco, è sede di diverse postazioni militari e anche del Centro di ricerche e studi scientifici siriani (Srrc), sottoposto a sanzioni da parte di Usa e Francia per il suo presunto ruolo nella produzione di armi chimiche.
Se la versione dell’Os fosse confermata, sarebbe il terzo attacco israeliano al Srrc: il primo nel maggio del 2013 e il secondo alla sua filiale nell’ovest del paese lo scorso settembre.
Gli attacchi (presunti) di oggi si vanno ad aggiungere al centinaio di raid compiuti da Israele in territorio siriano da quando è scoppiata nel 2011 la guerra civile in Siria. L’obiettivo di Tel Aviv sono stati per lo più i convogli di armi dell’esercito siriano e dei suoi alleati libanesi di Hezbollah. Quest’ultimi, sostenuti dall’acerrima nemica d’Israele (l’Iran), sono considerati da Tel Aviv come la maggiore minaccia al suo territorio. Da mesi la situazione è sempre più tesa tra Libano e Israele al punto che, secondo alcuni analisti, la possibilità di un nuovo conflitto tra i due Paesi è una ipotesi sempre più concreta. Una possibilità, del resto, non respinta dal governo Netanyahu che ha più volte ripetuto nel corso degli anni che risponderà a qualunque minaccia diretta contro il suo Stato. Israele vede con sempre più preoccupazione quanto accade ai suoi confini. Non solo in Libano, ma soprattutto in Siria dove la sua speranza di vedere rimosso il presidente siriano Bashar al-Asad (sostenuto dall’Iran) non solo non si è realizzata, ma anzi si è trasformata in un vero e proprio incubo: al-Asad è rimasto al potere (grazie ai suoi alleati, Russia in primis) e gruppi filo-iraniani ormai stazionano a pochi chilometri dal Golan “israeliano”.
In Siria la tensione è alta. Ma non solo per responsabilità israeliane. Nelle ultime 48 ore, denuncia l’opposizione al regime di al-Asad, le forze armate siriane hanno ucciso almeno 110 persone (30 lunedì, il resto ieri) nella Ghouta orientale, zona periferica di Damasco sotto assedio dal 2013 e controllata ancora dai gruppi di opposizione (per lo più islamisti). Tra le vittime ci sarebbero anche 22 bambini e 21 donne. Per l’Osservatore siriano, quanto accaduto ieri è “il più grande massacro” avvenuto nel Paese dall’attacco chimico avvenuto nella provincia di Idlib a Khan Sheykhoun lo scorso aprile (80 furono allora i morti). Un raid che fu “vendicato” da Trump 3 giorni dopo con un bombardamento ad una base militare governativa siriana (decine le vittime).
Proprio sull’uso di armi chimiche, ieri le Nazioni Unite hanno fatto sapere che stanno investigando sui “molti rapporti” che accusano al-Asad di aver utilizzato gas clorino nelle zone controllate dai “ribelli” a Saraqeb (provincia di Idlib) e Douma (Ghouta orientale). L’annuncio dell’apertura delle indagini giunge il giorno dopo il duro faccia a faccia tra Usa e Russia al Consiglio di sicurezza dell’Onu. Lo scontro è nato dopo che Mosca ha deciso di bloccare per l’ennesima volta una dichiarazione che condannava il recente (presunto) utilizzo del gas clorino da parte di Damasco . “Abbiamo informazione che il regime di al-Asad lo ha usato molte volte contro il suo popolo nelle ultime settimane, tra cui ieri [l’altro ieri per chi legge]” ha tuonato la rappresentante statunitense all’Onu, Nikky Haley.
A peggiorare il quadro nel Paese c’è poi l’incandescente situazione nel nord del Paese: la provincia di Idlib dove il regime bombarda quotidianamente l’aerea controllata dai qaedisti di Ha’iat Tahrir al-Sham ed Afrin dove l’offensiva anti-curda della Turchia è arrivata oggi al 19esimo giorno. Proprio sull’offensiva turca nel cantone del Rojava, ieri il presidente iraniano Hassan Rouhani ha chiesto ad Ankara di porre fine ai suoi bombardamenti. “Ci auguriamo – ha detto il leader moderato – che l’operazione turca finirà al più presto”. “Un intervento militare straniero – ha precisato – dovrebbe basarsi sull’autorizzazione da parte del paese ospitante e del suo popolo”. Nena News