Il conflitto interno, scoppiato nel 2013 tra il presidente Salva Kiir e l’ex vice presidente Machar, ha causato la morte di almeno 400.000 persone. A settembre le due parti hanno firmato un fragile accordo di cessate il fuoco, ma la situazione umanitaria resta preoccupante
di Federica Iezzi
Roma, 26 gennaio 2019, Nena News – Dallo scoppio della guerra civile in Sud Sudan cinque anni fa, almeno 400.000 persone sono morte, si contano 1,6 milioni di sfollati interni e circa 2,5 milioni di rifugiati fuggiti nei Paesi vicini, tra cui il Sudan. La guerra civile che corre oggi lungo le linee etniche è scoppiata nel dicembre 2013, in seguito alle accuse del presidente Salva Kiir secondo cui l’ex vicepresidente Riek Machar stava progettando un colpo di stato. Ma la radice di questa guerra non è un conflitto etnico. La ragione per cui le cose sono passate da una crisi politica a una guerra non è dovuta alle divisioni etniche in quanto tali, ma alla mancanza di un esercito professionalizzato e istituzionalizzato.
Lo scorso settembre, l’attuale presidente Salva Kiir e il suo principale rivale, l’ex vicepresidente, capo dei ribelli Riek Machar, firmarono un accordo per un cessate il fuoco permanente, per la formazione di un governo di transizione e per la stesura di una nuova costituzione, almeno fino alle prossime elezioni previste nel 2022. Secondo i termini del nuovo accordo di pace, il Sud Sudan avrà cinque vice presidenti ed espanderà il suo parlamento a 550 membri per includere rappresentanti di tutte le fazioni. I critici sostengono che il piano rafforzerà solo il tribalismo e le divisioni etniche, ancora una volta senza affrontare le cause profonde del conflitto.
L’accordo seppur pieno di lacune, soddisfa gli interessi dei due antagonisti e quelli dei presidenti Omar al-Bashir del Sudan e Yoweri Museveni dell’Uganda, i due leader africani con più influenza in Sud Sudan. Le probabilità di una nuova instabilità nel Paese sono preoccupanti, se si pensa ad un accordo simile, raggiunto e poi crollato nel 2015, che provocò un’impennata dei combattimenti. Gli accordi più allarmanti e contestati sono quelli riguardanti la sicurezza con un’eventuale unificazione di un esercito nazionale. Gli Stati Uniti, che fino a poco tempo fa hanno guidato la diplomazia occidentale nel Sud Sudan, hanno fatto un passo indietro. Altri stanno aspettando di vedere i passi tangibili di Kiir e Machar prima di assegnare finanziamenti. Se questo ennesimo accordo fallisse, non è chiaro cosa lo sostituirà, e il Paese potrebbe collassare di nuovo in grossi combattimenti.
La combinazione derivante dall’indulgenza internazionale all’indipendenza del Sud Sudan e da un eccesso di denaro ha fatto sì che le élite politiche del Paese commettessero alcuni errori catastrofici, tra cui la chiusura della produzione nazionale di petrolio solo sei mesi dopo l’ottenimento dell’indipendenza a causa di una disputa con il Sudan. La politica del presidente Salva Kiir, ha usato fondi statali per acquistare preferenze, attraverso la concessione di licenze alla corruzione. La competizione politica all’interno del partito di governo si è intensificata, non solo tra il presidente Kiir e il vicepresidente Machar, ma anche tra altri membri dell’aggrovigliato quadro politico.
Attraverso i suoi stessi abusi e corruzione il Sud Sudan è passato dall’essere una nazione povera ma speranzosa ad uno stato fallito, guidato da un’élite militare corrotta e opprimente. L’ottimismo si è sgretolato nel 2013 dopo che scontri politici tra Kiir e Machar si sono riversati in anni di lotte politiche, guai economici e ben pochi progressi nello sviluppo, nonostante miliardi di dollari in aiuti stranieri, in parte contagiati dalla corruzione del governo. Transparency International, organizzazione che monitora la corruzione, ha classificato il Sud Sudan al 179° posto su 180 Paesi, nel suo indice di corruzione.
Le dichiarazioni delle agenzie umanitarie non sono meno preoccupanti. Il Paese si trova di fronte a una grave carenza di cibo e a una potenziale carestia se gli aiuti umanitari continuano a rimanere bloccati e se agli agricoltori sfollati viene impedito di tornare nelle proprie case. Quasi il 63% della popolazione del Paese affronta l’insicurezza alimentare in condizioni che sfiorano la fame. Secondo l’ultimo rapporto dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, su una scala da uno a cinque: 47.000 persone affrontano il più alto livello di fame nel Sud Sudan (IPC fase 5), altri 1,7 milioni sono a un livello di ‘emergenza’ (IPC4) e 6 milioni vivono in uno stato di cronica carenza di cibo (IPC3). La situazione è particolarmente preoccupante negli Stati di Unity, Lakes, Jonglei, Upper Nile and Western Bahr el Ghazal. Le condizioni sono disperate nelle contee di Leer e Mayendit nello stato di Unity,
Il conflitto è anche segnato da atrocità da parte sia della sicurezza governativa sia delle forze di opposizione, incluse esecuzioni, torture, stupri di gruppo e schiavitù sessuale, secondo lo State Department’s 2017 human rights report on South Sudan e secondo studi di gruppi internazionali per i diritti umani. Nena News
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