L’accesso ai documenti classificati dell’ex presidente François Mitterrand potrebbe mettere ancora più in luce il ruolo di Parigi nelle cause scatenanti del genocidio del 1994 di circa 800.000 tutsi e hutu moderati. Nel nostro focus settimanale ci occupiamo anche di Mali e Tanzania.
di Federica Iezzi
Rwanda
François Graner, ricercatore francese, ha vinto una lunga battaglia legale per l’accesso agli archivi dell’ex presidente François Mitterrand sul genocidio in Rwanda del 1994, in cui Kigali accusa Parigi di aver avuto un ruolo preponderante.
Il Consiglio di Stato, il principale tribunale amministrativo della Francia, ha determinato che i documenti consentirebbero di far luce su un dibattito di interesse pubblico. La protezione dei segreti di stato deve essere bilanciata con gli interessi di informazione del pubblico su eventi storici, secondo il Consiglio di Stato.
Gli archivi presidenziali sono generalmente riservati per 60 anni dopo la loro firma, ma in determinate circostanze, possono essere resi pubblici prima. Attualmente solo una piccola parte dei documenti francesi era emersa e non era stato ancora prodotto un resoconto conclusivo sul ruolo svolto da Parigi.
Il presidente rwandese Paul Kagame ha accusato la Francia di essere complice delle violenze, per le quali le milizie hutu hanno ucciso circa 800.000 tutsi e hutu moderati. La Francia ha sempre negato le accuse e l’anno scorso il presidente Emmanuel Macron ha annunciato la creazione di un panel di storici e ricercatori per esaminare la documentazione.
Kagame ha accusato Parigi di aver avuto un ruolo diretto nell’assassinio dell’allora presidente rwandese Juvenal Habyarimana, un hutu, che ha scatenato le brutalità. Le relazioni tra i due Paesi hanno toccato il minimo nel 2006 dopo che un giudice francese ha presentato Kagame ad un tribunale appoggiato dalle Nazioni Unite, per l’accusa dell’omicidio di Habyarimana del 1994. Kagame, che aveva guidato la forza ribelle tutsi che alla fine rovesciò il genocida regime hutu, interruppe i legami con la Francia per tre anni.
Tanzania
Il parlamento della Tanzania è stato sciolto in vista delle elezioni del prossimo ottobre, in un Paese in cui l’opposizione ha denunciato un clima di paura e violenza. La costituzione richiede che la legislatura composta dei 393 seggi, venga sciolta prima delle elezioni.
Il presidente Magufuli, entrato in carica nel 2015, fortemente criticato da gruppi per la difesa dei diritti umani, ha esortato tutti i partiti politici a evitare insulti e violenza durante la campagna elettorale. La dissoluzione arriva pochi giorni dopo che il leader dell’opposizione tanzaniana Freeman Mbowe, che ha annunciato la sua intenzione di correre alle prossime elezioni contro Magufuli, è stato oggetto di violenze.
La missione dell’Unione Europea nel Paese ha denunciato il presunto attacco e le ambasciate americana e britannica hanno espresso crescenti preoccupazioni. Il principale partito all’opposizione Chadema (Party for Democracy and Progress) afferma che gli attacchi contro lo stesso partito e i suoi sostenitori sono nettamente aumentati durante il mandato presidenziale di Magufuli.
Il governo, di contro, ha negato di aver cercato di reprimere il dissenso.
Chadema e gli altri partiti dell’opposizione, tra cui Alliance for Change and Transparency (ACT Wazalendo), hanno chiesto un monitoraggio indipendente durante le elezioni, per garantire la libertà di voto. L’attuale assetto della commissione elettorale non garantisce sondaggi reali, in quanto favorisce il partito al potere. Il presidente di seggio e numerosi funzionari sono nominati dallo stesso Magufuli, leader del partito al potere.
Mali
Continua, senza placarsi, il ‘Mouvement du 5 juin’ nelle strade maliane. A Bamako, capitale del Paese, si rinnovano dai dimostranti le richieste di dimissione del presidente Ibrahim Boubacar Keita. Il Mali si è trasformato in una spirale di violenza che coinvolge una schiera di gruppi affiliati ad al-Qaeda e ISIS, milizie etniche e forze statali, regionali e internazionali, da quando i separatisti tuareg nel nord, sono stati allontanati per un breve periodo dal governo nel 2012. Keita è stato eletto l’anno successivo e ha vinto un secondo mandato quinquennale nel 2018.
Tuttavia, i risentimenti dei manifestanti si estendono oltre il conflitto, con il ritmo singhiozzante delle riforme politiche, di un’economia carceraria e di una percezione ampiamente condivisa della corruzione del governo.
Le proteste guidate da una nuova coalizione di gruppi di opposizione, hanno spinto Keita a concedere l’aumento degli stipendi degli insegnanti pubblici, dopo una disputa salariale di lunga data, e la promessa di riforme, inclusa la formazione di un nuovo governo di unità che includa figure dell’opposizione. Il crescente divario politico in Mali preoccupa i Paesi confinanti, che temono un’ulteriore instabilità, già causa di crisi in Burkina Faso e Niger. Crisi che minaccia di raggiungere più a sud i Paesi costieri dell’Africa occidentale.
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