Nella nostra consueta rubrica settimanale sull’Africa, Federica Iezzi ci porta oggi nel vasto slum della capitale ghanese Accra dove ogni anno vengono abbandonati fino a 50 milioni di tonnellate di rifiuti elettronici
di Federica Iezzi
Roma, 8 marzo 2019, Nena News – La memoria storica di Agbogbloshie sono le donne. Fanno risalire la formazione dell’ampio slum della capitale ghanese, Accra, al momento in cui la popolazione a più basso reddito, del Paese multiculturale e multietnico dell’Africa Occidentale, trasformò negozi in case di fortuna.
Da quel momento Agbogbloshie diventò una delle più grandi discariche di prodotti digitali al mondo, dove ogni anno vengono confinati, legalmente e illegalmente, milioni di rifiuti elettronici, provenienti dai Paesi Occidentali. Tonnellate di rifiuti si sono via via accumulati su quest’area, un tempo verde, per trasformarla in un cimitero globale per apparecchiature elettroniche.
Ogni giorno, le lavoratrici dello slum liberano l’area da un intenso calore che si irradia da computer, iPod, radio e televisioni in fiamme. E quelle stesse donne, ogni sera, si ritrovano nelle capanne della baraccopoli il fumo nero degli scarti. Ognuna di loro sa bene che gli incendi sono indispensabili perché bruciano e consumano il materiale plastico da cavi, spine e schede madri, lasciando vivo solo il metallo, che poi raccolgono e vendono.
Inutile dire che l’esposizione alle tossine dello slum rimane pericolosa in particolare per i bambini, a livello del sistema nervoso centrale e di quello riproduttivo. Sono circa 50.000 gli abitanti dell’area. Molti di loro si ritrovano intrappolati nel circolo vizioso della povertà, dove nonne e nipoti, senza tempo e senza spazio, lavorano fianco a fianco.
Le bambine hanno precisi compiti a Agbogbloshie: bruciano la plastica degli schermi dei computer, lasciandosi dietro frammenti di rame e ferro che raccolgono per vendere. Altre, con magneti legati all’estremità di un pezzo di corda, raccolgono ogni piccola scheggia di metallo rimasta nella terra. Le ragazzine più grandi invece si fanno strada tra vecchi dischi rigidi, cavi districati, vecchie unità di condizionamento e ferri da stiro. I preziosi frutti del loro lavoro quotidiano sono pile di rame e alluminio, metalli che poi vengono acquistati a pochi soldi dai commercianti. Ognuna di loro guadagna 1 dollaro e 30 al giorno.
Le donne più anziane vagano per il sito tentacolare, vendendo arance sbucciate, bustine di acqua e cibo cotto. Molte hanno bambini piccoli avvolti in un panno legato strettamente alla schiena. Nello slum nessuna struttura è permanente e non ci sono sistemi di acqua o fognature nella zona.
Le Nazioni Unite stimano che a Agbogbloshie vengono abbandonati fino a 50 milioni di tonnellate di rifiuti elettronici ogni anno. E secondo i dati dell’E-Waste Problem, iniziativa nata nel 2007 per affrontare la crescente crisi mondiale dei rifiuti elettronici, il volume globale di tali rifiuti è destinato a crescere del 33% nei prossimi quattro anni.
Il sito di Agbogbloshie e con sé le sue donne sono in prima linea, con un esponenziale aumento del rischio di contaminazione del suolo con piombo, mercurio, cadmio e arsenico. Seppur la Convenzione di Basilea del 1989 vieta lo scarico di rifiuti elettronici nei Paesi a basso e medio reddito, ogni mese a Agbogbloshie arrivano, spesso illegalmente, container carichi di materiale elettronico, da Paesi di tutto il mondo. Vecchi videoregistratori, macchine da cucire, computer degli anni ’80.
L’agglomerato urbano di Agbogbloshie appare come un bieco centro commerciale all’aperto dove ognuna di queste povere donne cerca di aiutare le proprie famiglie ad avere una vita migliore, lavorando fino a 12 ore al giorno, senza garanzie ne protezione. Nena News
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