Travolto dallo scandalo corruzione, il premier turco Erdoğan è passato al contrattacco: epurazioni di massa nella polizia e nelle procure, limitazione dell’informazione su internet e attacchi ai giudici. Secondo il primo ministro vi è un tentativo di golpe ordito dal movimento Hizmet dell’Imam Fetullah Gulen. Le elezioni municipali del 30 marzo saranno un banco di prova per capire se è iniziato o meno il suo declino politico.
di Serena Tarabini
Istanbul, 11 marzo 2014, Nena News - Il terreno sotto i piedi del Premier turco Recep Tayip Erdoğan sembra farsi sempre più cedevole. Dopo lo scivolone internazionale di Gezi, a dicembre è scoppiato lo scandalo corruzione che ha travolto il suo amministrativo, portando alla dimissione di 3 ministri ed a un corposo rimpasto di Governo.
Ora non passa giorno in cui non esca una notizia che getti discredito sulla sua persona: viene coinvolto nello scandalo anche il figlio Bilal, spuntano camion di ONG legate al suo partito, l’AKP, diretti verso il confine siriano carichi di armi, si scoprono scatole e scatole di schede elettorali dove il simbolo dell AKP è già contrassegnato, e da ultimo ma non ultimo, vengono diffuse su internet delle registrazioni in cui lui e il figlio Bilal discutono su come far sparire ingenti somme di denaro che si trovano nella casa del premier stesso, questo mentre sono in corso le perquisizioni che hanno portato all’arresto diversi esponenti del governo, oltre a industriali e banchieri. Una escalation che accelera man mano che si avvicina la scadenza elettorale del 30 marzo, giorno in cui in tutte le città della Turchia si voterà per il rinnovo dei sindaci e dei consigli comunali e municipali.
Erdoğan come è nel suo stile si difende attaccando: nega tutto, compie epurazioni di massa nella polizia e nelle procure, limita a colpi di legge l’informazione su internet e l’indipendenza dei giudici e strepita al complotto ordito ai suoi danni. Prima in maniera generica parlando di una banda di criminali, adesso individuando in maniera esplicita come responsabili di un vero e proprio tentativo di golpe nei membri del movimento Hizmet, facente capo all’Imam Fetullah Gulen.
Fetullah Gullen si trova in autoesilio negli Stati Uniti, in Pennsylvania, dal 1999. Il movimento Hizmet di cui è fondatore e capo è molto importante in Turchia, in quanto influenza potentemente ampli settori del mondo del business, dell’educazione, della magistratura e della polizia, e diversi suoi simpatizzanti sono membri dell’AKP. Fino a non molto tempo fa, Erdoğan e Gulen sono stati alleati nell’indebolire e isolare l’establishment militare che ha sempre dominato il paese: E’ anche grazie al sostegno di Hizmet che il partito Islamico moderato di Erdoǧan ha preso e conservato il potere, rimettendo in piedi un progetto di recupero dell’identità islamica in politica, mal digerito nelle grandi città, ma vicino alle popolazioni rurali, legate alle tradizioni religiose.
Un meccanismo che, nonostante le divisioni create nella società turca, ha funzionato per 10 anni ma che ora si è inceppato. Per fare un esempio, i magistrati e procuratori che a suo tempo lavorarono nei processi Erdekon e Bayoz, che hanno contribuito a mettere dietro le sbarre numerosi militari , sono gli stessi che il Premier Erdoğan ha rimosso dal loro incarico in seguito all’avvio delle inchieste sui casi di corruzione riguardanti il suo partito, accusandoli di essere parte appunto di un complotto ai suoi danni.
Motivo di disaccordo fra Erdoğan e Gulen è stato l’avvio di un processo di risoluzione del conflitto kurdo, successivamente la tensione fra i due si alzo’ durante il periodo di Gezi con le parole accondiscendenti utilizzate da Gulen nei confronti dei manifestanti e le critiche alla violenza utilizzata per reprimere le proteste. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata una proposta di legge che trasformasse tutte le “dershane” (istituti privati di preparazione per l’accesso all’università, molte delle quali legate alla rete di Hizmet) in istituti pubblici. Un duro colpo inferto al una risorsa importantissima per il movimento di Gulen, che lo porta ad abbandonare l’ex alleato.
Quando il premier turco agita lo spettro del complotto e della presenza di uno stato parallelo, non lo fa solo in maniera retorica: ci svela uno scontro di poteri in atto, dentro la quale esiste il rischio che lui soccomba. Non è una caso che all’improvviso da leader senza macchia si ritrovi coinvolto in uno scandalo dopo l’altro. Segno che tutta una serie di coperture sono saltate. E non è una caso che questo avvenga in prossimità delle elezioni: il risultato del 30 marzo comincerà a indicare se Recep Tayip Erdoğan è ancora un leader indiscusso grazie a una base elettorale irremovibile e non scalfita dagli scandali, o se è cominciato per lui il cammino lungo il viale del declino. Nena News