In una lettera, gli eurodeputati hanno esortato la Commissione europea a far rispettare il principio della sovranità dei popoli sulle proprie risorse naturali quando esse sono sotto occupazione straniera. Il governo della Repubblica Sahrawi, invece, ha invitato Bruxelles a prendere misure immediate sull’utilizzo da parte del Marocco di finanziamenti destinati alla realizzazione di progetti economici nel Sahara occupato
di Daniela Minieri
Roma, 14 dicembre 2016, Nena News – Lo scorso 17 novembre, durante i lavori della COP22, i governi di Spagna, Francia, Germania, Portogallo e Marocco hanno approvato una dichiarazione congiunta che delinea la Roadmap per un commercio energetico sostenibile tra il Regno del Marocco e il mercato interno europeo dell’energia. I cinque governi, precisando che tale dichiarazione «non crea obbligazioni giuridiche per i firmatari e non può essere soggetta al diritto internazionale», aspirano a raggiungere i propri rispettivi obiettivi, vale a dire per l’Unione europea il 27% di produzione di energia rinnovabile nel 2030, e per il Marocco l’implementazione del Piano di Energia Rinnovabile con il suo ambizioso target del 52% nel 2030.
La Conferenza sul clima che si è tenuta in Marocco è stata indubbiamente una buona occasione per attirare l’attenzione sull’importanza dell’energia rinnovabile nella cooperazione euro-mediterranea. Il Marocco è senz’altro impegnato in questo “rinnovamento di energie”, come si legge nei programmi che promuove. Il problema è che molti di questi progetti non sono attuati in Marocco bensì nel territorio del Sahara Occidentale.
A notarlo sono 52 eurodeputati che in una lettera del 18 novembre indirizzata al vicepresidente della Commissione europea, Frans Timmermans, al commissario europeo in carica per il clima e l’energia, Miguel Arias Canete, e al Segretario generale dell’ONU, Ban Ki-moon, esortano quest’ultimo e la Commissione europea a far rispettare il principio della sovranità permanente dei popoli sulle proprie risorse naturali quando esse si trovano sotto occupazione straniera. I parlamentari europei hanno preteso che gli Stati membri dell’Unione forniscano informazioni alle imprese che desiderano investire in attività promosse dal governo marocchino nel Sahara Occidentale, chiarendo che queste attività sono contrarie al diritto internazionale. Hanno inoltre domandato all’Unione di garantire che le importazioni energetiche dal Marocco non comprendano l’energia prodotta nel Sahara Occidentale, e che le istituzioni rispettino l’impegno dell’Unione a non destinare fondi per la costruzione di centrali di energia rinnovabile nel suddetto territorio.
Come previsto dal programma nazionale di sviluppo di energie rinnovabili, il Marocco ha impiantato centrali solari e parchi eolici nel Sahara Occidentale, un territorio conteso, come precisano gli eurodeputati nella loro lettera. Il loro timore è che l’energia prodotta in questo territorio sia utilizzata per trarre profitto da risorse già illecitamente sfruttate dal Marocco nel Sahara Occidentale intensificando cosi l’attuale saccheggio.
«Attualmente, 22 aereogeneratori fabbricati dalla società tedesca Siemens forniscono il 95% dell’energia necessaria alla società nazionale marocchina OCP (di proprietà reale), per lo sfruttamento controverso dei fosfati nel sottosuolo del Sahara Occidentale occupato dal Marocco», aggiungono. Secondo gli europarlamentari, il Regno del Marocco ha elaborato un «piano ambizioso» di sviluppo dell’energia. «Nel 2010, il governo marocchino ha deciso di raddoppiare la produzione nazionale eolica aggiungendo 1.000 MW (megawatt) da qui al 2020. Il 40% di questa capacità addizionale, vale a dire 400 MW, sarà installata nel Sahara Occidentale», chiariscono. Questo equivale a dire che nel 2020 più di un quarto di tutta la produzione di energia verde del Marocco si situerebbe nel territorio che mantiene sotto occupazione.
A chiedere all’Unione ad agire conformemente al diritto internazionale è anche Mohamed Sidati, Ministro delegato presso l’Unione europea del governo in esilio della Repubblica Araba Sahrawi Democratica, che in una lettera indirizzata all’Alto rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Federica Mogherini, sollecita la diplomazia europea a prendere misure immediate circa l’utilizzo da parte del Marocco dei finanziamenti europei destinati di fatto alla realizzazione di progetti economici nel Sahara occupato.
L’esponente del Fronte Polisario ha esortato le istituzioni comunitarie a sospendere suddetti finanziamenti e a dichiarare pubblicamente che l’UE non appoggia in nessun modo lo sfruttamento delle risorse del Sahara Occidentale, giacché «la partecipazione dell’Unione e delle imprese europee al saccheggio delle risorse naturali del Sahara Occidentale rafforza l’occupazione del territorio». Per il ministro delegato, «né il Marocco, né l’UE e né tantomeno le imprese complici dell’Unione hanno cercato di entrate in contatto con il Fronte Polisario, il solo legittimo rappresentante del popolo sahrawi, al fine di informarlo o chiedere l’autorizzazione dello sfruttamento delle risorse sahrawi». Si tratterebbe, a suo avviso, di una «violazione di diritto».
Tutto ciò avviene a distanza di un anno dalla sentenza dell’Ottava Sezione del Tribunale dell’Unione europea che ha parzialmente annullato la decisione 2012/497/Ue del Consiglio dell’8 marzo 2012 relativa alla conclusione di un Accordo relativo a misure di liberalizzazione reciproche in materia di prodotti agricoli, dei prodotti agricoli trasformati e dei prodotti della pesca. In quell’occasione, il Tribunale, ammettendo che le regole e i principi di diritto internazionale applicabili in materia sono complessi e imprecisi, ha concluso che le istituzioni dell’Unione europea, pur godendo di un ampio potere discrezionale riguardo le modalità di definizione degli accordi commerciali, non hanno tenuto in debito conto, esaminando con cura ed imparzialità, che tale decisione ledeva i diritti fondamentali e gli interessi del popolo sahrawi.
Infatti, il regime giuridico applicabile allo sfruttamento delle risorse del Sahara Occidentale, infatti, è quello relativo ai territori non-autonomi, giacché il Sahara Occidentale è riconosciuto come tale dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite conformemente al dettato della Carta ONU (art.73). Secondo tale regime lo sfruttamento delle risorse dei territori non autonomi deve avvenire nell’interesse dei popoli autoctoni. Lo stesso Segretario generale delle Nazioni Unite, nel rapporto annuale concernente la situazione del Sahara Occidentale, ha ribadito che, visto l’interesse che le risorse del territorio continuano a suscitare, «è bene ricordare a tutti gli attori coinvolti, che in linea con il dettato dell’art. 73 della Carta ONU, bisogna riconoscere il principio della preminenza degli interessi degli abitanti di suddetti territori».
Dato l’impegno dell’Unione europea a promuovere il rispetto dei diritti umani e del diritto internazionale, «il popolo sahrawi ha bisogno del suo sostegno per fare ciò che risulta moralmente e giuridicamente giusto per questo popolo», nota nelle conclusioni della sua lettera il rappresentate della RASD. Nena News