Maxi processo per 293 persone accusate di aver tentato di assassinare il presidente egiziano, il principe ereditario saudita, cinque giudici e per diversi attacchi nella Penisola del Sinai. Proteste dei giornalisti per l’arresto del capo del sindacato dei media e di altri due suoi colleghi per “istigazione alla violenza”
della redazione
Roma, 21 novembre 2016, Nena News – Maxi processo in Egitto per 292 persone che avrebbero tentato di assassinare il presidente egiziano Abdel Fattah as-Sisi, il principe ereditario saudita Mohammed bin Nayef, cinque giudici egiziani e compiuto attacchi nella penisola del Sinai. Ad annunciarlo alla stampa è stato ieri un ufficiale della procura. Gli imputati, 151 dei quali sono già detenuti, sono accusati di essere membri del cosiddetto “Stato del Sinai”, il braccio locale dell’autoproclamato Stato Islamico che da tempo porta avanti una insurrezione armata nel Sinai.
Secondo quanto ha riferito ieri l’ufficiale, dopo oltre un anno d’interrogatori 66 imputati avrebbero già confessato la loro responsabilità per i crimini per cui vengono accusati. La procura egiziana sostiene che le persone incriminate sono coinvolte in “17 operazioni”. Tra queste, spiccano in particolare due (presunti) tentativi di uccidere Sisi: una volta mentre era in pellegrinaggio in Arabia Saudita e un’altra volta al Cairo.
L’ufficiale ha anche aggiunto che tra i processati vi sono anche degli ex poliziotti che hanno aderito ad una “ideologia militante”. Le autorità locali, in particolare, riferiscono che sei di loro erano membri del gruppo “poliziotti con la barba” i cui membri, riporta l’agenzia Mena, hanno dichiarato di essersi fatti crescere la barba in accordo alla loro interpretazione radicale (e del tutto personalistica) dell’Islam. Una scelta che non piacque affatto al ministro degli Interni perché, come sostenne allora, violava i codici militari e di polizia e che causò il trasferimento degli appartenenti al gruppo alle forze di riserva del ministero.
Se gravissimi sono i capi d’accusa per i presunti attacchi pianificati contro al-Sisi, non meno dure sono le accuse mosse contro gli imputati per i presunti attentati che avrebbero commesso contro posti di blocco di polizia e basi dell’esercito nel Sinai, ma anche per l’attentato di Taba del febbraio 2014 contro un bus che trasportava turisti sudcoreani (le vittime straniere furono tre).
E se da un lato il regime di al-Sisi continua la caccia ai “terroristi”, dall’altro prosegue imperterrito ad attaccare la stampa. Il sindacato dei giornalisti ha convocato per questo mercoledì un “incontro aperto” per discutere le sentenze di sabato contro il suo capo Yahya Kalash e altri due suoi membri (Jamal Abdel Rahim e Khaled al-Balshy). I tre sono stati condannati a due anni di prigione – ma possono pagare una cauzione di 615 dollari in attesa del processo – per aver “ospitato fuggitivi” all’interno della sede del sindacato. Il loro arresto, lo scorso 1 maggio, suscitò grande sdegno da parte delle associazioni dei diritti umani e degli stessi colleghi della stampa che organizzarono un sit-in di tre settimane all’interno della sede dell’unione dei giornalisti.

Proteste fuori la sede del sindacato dei giornalisti lo scorso aprile
(Foto: Reuter/Mohammed Abd el-Ghani)
La polizia, infatti, aveva fatto irruzione nell’edificio per arrestare Amr Badr e Mahmoud as-Sakka, due repoter accusati di “istigazione alla violenza contro il capo di Stato” per la loro copertura delle proteste del 25 aprile contro il trasferimento delle isole egiziane di Tiran e Sanafir all’Arabia Saudita. La condanna inflitta a Kalash, Abdel Rahim e al-Balshy è stata criticata anche dall’Unione europea che ha parlato di “sviluppo preoccupante” che “riflette le più ampie limitazioni della libertà di espressione e di quella di stampa in corso in Egitto.
Il sindacato ha fatto sapere ieri che intraprenderà tutte le azioni legali possibili per appellarsi contro la sentenza e ha sottolineato come “tale verdetto non ci distrarrà dalle questioni fondamentali che devono affrontare i giornalisti come la nuova legge sui media e né [ci farà dimenticare] la crisi economica”. Ma ad essere stati colpiti sabato dalla repressione del regime di al-Sisi sono stati anche un presentatore televisivo, Mohammed Naser del canale satellitare Mekameleen, e due suoi colleghi di rete. I tre sono stati condannati in contumacia a 3 anni di prigione per aver diffuso “false notizie”. Rilasciato invece ieri il giornalista e ricercatore 32enne Ismail Alexandrani. Alexandrani, sostengono le autorità, era stato arrestato per essersi unito al movimento islamico dei Fratelli Musulmani (bandito nel Paese) e per aver propagandato “informazioni non vere”.
Intanto il presidente egiziano al-Sisi continua a mandare messaggi di apprezzamento e stima al neo-eletto presidente Usa Donald Trump. “Personalmente lo rispetto e lo apprezzo” ha detto sabato all’agenzia di stampa portoghese Lusa. “Credo che si impegnerà maggiormente con le questioni relative alla regione [mediorientale] perché ha dimostrato profondo interesse per quello che sta avvenendo qui e cosa succede in Egitto” ha aggiunto. “Ecco perché – ha concluso – mi aspetto un maggiore sostegno e un rafforzamento delle relazioni bilaterali tra i nostri due paesi”.
Al-Sisi sarà impegnato oggi e domani in una visita ufficiale in Portogallo durante la quale verranno intensificati i rapporti tra Lisbona e il Cairo. Ovviamente nessuno del governo portoghese ricorderà al rais le proteste delle associazioni dei diritti umani e dei giornalisti perché per l’Europa, nonostante le flebili proteste, al-Sisi è un ottimo alleato. Poco importa se ogni tanto si tradisce lo spirito “Charlie Hebdo”. Nena News