La rilevanza delle lotte operaie egiziane risulta ancor più evidente laddove i partiti di opposizione appaiono sempre più fragili e relegati ai margini. La massiccia repressione statale così come l’incapacità di costruire un fronte alternativo capace di proposte concrete sembrano aver lasciato l’opposizione orfana di una guida politica solida
di Francesca La Bella
Roma, 24 agosto 2017, Nena News - Lo sciopero di Mahalla al Kubra sembra essere giunto alla fine. Secondo quanto riportato dalle principali agenzie di stampa egiziane, gli operai del complesso tessile avrebbero, infatti, ripreso il lavoro dopo le rassicurazioni da parte della dirigenza dell’azienda in merito alla possibilità di accettare le richieste dei lavoratori. La trattativa sarebbe, però, solo all’inizio. La mediazione di alcuni parlamentari avrebbe, infatti, portato ad uno stop provvisorio in attesa di azioni di apertura concrete che dovrebbero essere messe in atto durante la prossima settimana. Fonti anonime riportate dall’Agenzia Mada Masr affermano, però, che, qualora le promesse non dovessero avere seguito, lo sciopero potrebbe riprendere fino all’accordo definitivo.
Leggere gli eventi di Mahalla come passaggi di una “semplice” lotta sindacale per ottenere il pagamento, più volte ritardato, dei sussidi e maggiori sovvenzioni risulta, però, limitante. Nella lotta del più grande complesso tessile statale dell’Egitto si evidenziano le difficoltà e le mutazioni della contesa politica egiziana. La storia delle lotte sindacali di Mahalla al Kubra e degli operai egiziani è, infatti, strettamente collegata alla storia politica del Paese. Il ciclo di scioperi del 2006, la partecipazione bivalente alle lotte della Primavera Araba, la compenetrazione tra lotte sindacali e lotte politiche con la massiva presenza della Fratellanza Musulmana e dei partiti della sinistra sono alcuni degli aspetti che ancorano la dinamica regionale di Mahalla con la più ampia evoluzione dei processi sociali nazionali.
Nel valutare questi ultimi avvenimenti bisogna, dunque, aprirsi all’analisi di un contesto più ampio e complesso. Sotto questa luce si possono leggere le parole del Presidente della società, Ahmed Mustafa, che, pochi giorni prima della fine della serrata, ha dichiarato, secondo quanto riportato dall’Egypt Independent, che i leader sindacali di Mahalla dovevano essere considerati terroristi in quanto appartenenti alle fila della Fratellanza Musulmana. Organizzazione che avrebbe agito di concerto con il Movimento 6 Aprile e con i socialisti rivoluzionari. Nonostante in questo caso si tratti di propaganda di regime, la commistione tra protesta sociale e protesta politica è sicuramente molto forte. In una lunga analisi pubblicata a giugno dall’European Council for Foreign Relations sull’attuale situazione egiziana, gli autori sottolineavano come “Tutti i segni indicano la continuazione, e in effetti l’escalation, delle proteste sociali ed economiche motivate da considerazioni locali, settarie o addirittura nazionaliste. Non tutte le proteste sono politicamente ispirate, ma è ingiusto trascurare il malcontento che risiede nella società egiziana. La rivoluzione del 2011 è stata preceduta da migliaia di proteste, incontri e scioperi organizzati dal movimento operaio; oggi queste potrebbero svolgere lo stesso ruolo.”
La rilevanza delle lotte operaie risulta ancor più evidente laddove i partiti di opposizione egiziani appaiono sempre più fragili e relegati ai margini. La massiccia repressione statale così come l’incapacità di costruire un fronte alternativo capace di proposte concrete sembrano, infatti, aver lasciato la popolazione avversa al regime orfana di una guida politica solida. In vista delle elezioni presidenziali del 2018, non sembra esistere una reale alternativa al Governo di Al Sisi. Se a maggio i cinque principali partiti della sinistra egiziana hanno firmato un accordo per sostenere un singolo candidato alla corsa presidenziale, le fratture all’interno dell’opposizione continuano ad essere profonde. Molti partiti hanno pubblicamente dato il proprio endorsement alla dirigenza attualmente in carica mentre molti altri hanno assunto un atteggiamento di attesa. Ciò che appare è un totale scollamento tra le impellenti richieste della società egiziana, segnata dalla profonda crisi economica in atto oltre che dalla repressione, e le caute prese di posizione delle dirigenze politiche.
In questo senso, le politiche governative di restringimento degli spazi di azione delle opposizioni, anche e forse sopratutto in ambito lavorativo, certamente non favoriscono una significativa partecipazione alla vita politica del Paese. E’ di pochi giorni fa la notizia di un progetto di legge proposto da Mohamed Abu Hamed, portavoce parlamentare della Social Solidarity Committee, per il quale verrebbe richiesta la rimozione di tutti i membri della Fratellanza Musulmana da ogni incarico pubblico. La scelta di epurazione selettiva, criticata da numerose associazioni per i diritti umani già nella sua forma attuale, scatena, altresì, il timore che la normativa, una volta approvata, possa essere estesa anche al settore privato e ad ogni attivista politico contrario al Governo, qualunque sia la sua appartenenza politica.
Francesca La Bella è su Twitter @LBFra