Iniziata nel 2014 la barriera di 14 chilometri è in fase di ampliamento. Già migliaia le case distrutte e i civili costretti a fuggire in nome della “lotta al terrorismo”
della redazione
Roma, 22 maggio 2018, Nena News – Nel Sinai dimenticato l’operazione militare del governo egiziano prosegue con il pesante carico sui civili. Nelle ultime settimane, secondo testimoni che hanno parlato con l’agenzia indipendente Mada Masr, l’esercito sta costruendo una barriera di cinque chilometri al confine di Rafah, tra Gaza e il territorio egiziano.
Filo spinato che parte un chilometro dopo la costa e arriva ai campi coltivati di Rafah, lato egiziano. È parte di una più ampia barriera che Il Cairo ha iniziato a costruire a novembre 2014, un anno dopo il golpe del generale al-Sisi: l’obiettivo ufficiale è la lotta al terrorismo di matrice islamica. In questo caso il target è Hamas, braccio palestinese dei Fratelli Musulmani (nonostante recentemente, nella modifica dello statuto il movimento palestinese abbia preso le distanze dalla casa madre).
Dunque, operazioni parte della più ampia campagna anti-islamista che Il Cairo porta avanti nel post-Morsi, con stragi, arresti e processi di massa, oltre alla messa al bando dell’organizzazione della Fratellanza Musulmana. Per Gaza si è tradotta nella distruzione di un migliaio di tunnel che la popolazione della Striscia utilizzava per far entrare beni di prima necessità, carburante, cemento, necessari a sopravvivere sotto l’assedio israeliano.
La barriera, 14 chilometri di lunghezza e 500 metri di profondità, ha provocato lo sfollamento forzato di migliaia di residenti della zona, molti dei quali si sono rifugiati nelle principali città della Penisola del Sinai. Ora, con l’ampliamento della barriera, altre famiglie sono state sfollate: ripulita un’area di mille metri, due settimane fa sono partiti nuovi lavori lungo la frontiera.
I residenti esprimono tutti i loro timori: lo sfollamento, che seguirebbe a condizioni quotidiane già difficilissime, con tagli di elettricità, carenza d’acqua potabile, strade bloccate e raid aerei. E demolizioni di case. Il governo aveva promesso denaro in cambio delle perdite, per ora sono tutti in attesa. Difficile dare i numeri: secondo quelli governativi, risalenti al 2016, erano state demolite già 2.090 case delle 4.530 presenti, dove vivevano 81mila persone.
Diversi i numeri forniti da Human Rights Watch, secondo cui da luglio 2013 – in coincidenza con il colpo di Stato – e agosto 2015 sono state distrutte almeno 3.255 abitazioni. E ora, aggiunge altri elementi: attraverso immagini satellitari, l’organizzazione ha denunciato oggi l’ampia campagna di demolizioni di case e fattorie che il governo egiziano sta portando avanti nel Sinai del Nord, tra Arish e Rafah. “Mio fratello minore mi ha chiamato – racconta un testimone a Hrw – Mi ha detto che le forze di sicurezza sono venute e hanno costretto mia madre, mia nonna e lui a uscire di casa. Poi hanno dato fuoco alla casa”.
Una situazione drammatica che si aggiunge a quella vissuta dai 420mila residenti della Penisola del Sinai dal 9 febbraio, quando l’esercito ha lanciato l’operazione anti-terrorismo “Sinai 2018”. Giornalisti non ce ne sono e le comunità sono completamente chiuse. Non si entra e non si esce se non con permessi speciali. Le stazioni di benzina sono chiuse, come i negozi di alimentari: sono i camion dell’esercito, sporadicamente, a portare cibo, presi letteralmente d’assalto da una popolazione affamata.
Mancano anche elettricità e acqua corrente a causa dei continui blackout. Le autorità si mostrano solo per esercitare altri abusi: i residenti denunciano perquisizioni casa per casa, arresti arbitrari, restrizioni al movimento. Violenze che esarcebano le tensioni in un’area del paese in cui operano da anni gruppi radicali islamisti che da sempre fanno la loro fortuna su povertà e marginalizzazione delle comunità. Nena News