I paesi arabi che rivendicano la loro opposizione allo Stato Islamico si sono ritirati dalla battaglia contro l’auto-proclamato “Califfo Ibrahim”, creando un vuoto politico nella Coalizione
di Bruce Riedel – al-Monitor
Roma, 20 novembre 2015 Nena News - Sulla scia degli attacchi dello Stato islamico nella penisola del Sinai, a Beirut e a Parigi, c’è un urgente bisogno di mobilitare risorse per affrontare la minaccia rappresentata dall’Isis, in particolare nel mondo arabo. Invece, l’Arabia Saudita e i suoi alleati del Golfo stanno dedicando tutte le loro risorse e i loro sforzi a una complicata e costosa campagna militare in Yemen.
Quando la campagna aerea contro l’Isis è iniziata, più di un anno fa, la Royal Saudi Air Force è stata una delle prime partecipanti. Eppure, non vola in missione contro obiettivi Isis da settembre, secondo il New York Times. Il Bahrain ha effettuato una missione area contro lo Stato islamico nel mese di febbraio. Gli Emirati Arabi Uniti si sono fermati a marzo, mentre la Giordania ha smesso nel mese di agosto.
Non c’è stato alcun annuncio ufficiale o pubblico della ritirata. Tutti i governi arabi ribadiscono la loro ferma opposizione all’Isis. Questa settimana, i grattacieli di Riyadh si sono tinti dei colori della bandiera francese per esprimere solidarietà con Parigi. Re Salman bin Abdul Aziz Al Saud ha detto al presidente Usa Barack Obama ad Ankara che l’Arabia Saudita avrà un ruolo importante in Siria. Ma, nella pratica, i funzionari militari americani riferiscono che la guerra nello Yemen ha lentamente portato via la forza aerea araba dalla lotta contro i terroristi in Siria e in Iraq. Lo Yemen è la priorità, anche se di tanto in tanto vengono effettuate operazioni simboliche per colpire obiettivi Isis.
L’assenza di forze aeree arabe ha creato un vuoto politico – non militare – anche se la Russia, la Francia e l’America sono pienamente in grado di condurre una guerra aerea contro l’Isis. Alla coalizione manca però la risposta musulmana all’auto-proclamato “califfo Ibrahim.” Si tratta di uno spreco di risorse simbolicamente importanti.
La guerra è anche costosa. Nessuna stima ufficiale dei costi delle operazioni militari è stata ancora rilasciata, ma in questo momento devono essere utilizzati decine di miliardi in armamenti, manutenzione e altre spese.
Ad esempio, questa settimana il Pentagono ha annunciato la vendita di 1,29 miliardi di dollari in munizioni terra-aria e attrezzature associate per rifornire l’aviazione saudita delle bombe utilizzate nella campagna in Yemen. La vendita fornisce qualcosa come 20 mila nuove munizioni in sostituzione di quelle già usate. Anche il Regno Unito, un’altra fonte importante nel magazzino degli aerei di Riyadh, sta reintegrando le scorte usate dai sauditi. Amnesty International e Human Rights Watch hanno sollevato domande circa l’uso di queste armi e su possibili crimini di guerra.
L’Arabia Saudita è stata ripetutamente presa di mira dall’Isis, che ha effettuato attentati suicidi sia in Arabia Saudita che in Kuwait. E promette di rovesciare la Casa dei Saud e di issare le bandiere nere sopra la Mecca. Centinaia di cittadini sauditi stanno combattendo con il gruppo terroristico in Iraq e Siria, mentre la Giordania è stato un obiettivo dell’Isis, con uno dei suoi piloti chiuso in una gabbia e bruciato vivo dai miliziani del Califfato. Questi stati hanno quindi un interesse in questa guerra.
Ma l’attenzione e le risorse di Riyadh sono focalizzate sullo Yemen, su una guerra in situazione di stallo. Dopo alcuni successi durante l’estate, la coalizione a guida saudita aveva promesso di riconquistare Sanaa, capitale dello Yemen, entro questo autunno. La cosa sembra improbabile oggi. La guerra si è trasformata anche in una catastrofe umanitaria per 25 milioni di yemeniti, con il protrarsi di un blocco che impedisce la fornitura di cibo e medicine alla popolazione.
La cosa peggiore è che i principali beneficiari della guerra finora sono al-Qaeda e l’Iran. Al-Qaeda ha preso il controllo di gran parte del sud-est dello Yemen dall’inizio della guerra. Le sue bandiere nere volano su Aden, la capitale provvisoria del governo filo-saudita. Al-Qaeda nella Penisola Arabica (AQAP) è cresciuta sempre di più da quando ha Parigi lo scorso gennaio: non è più debole. Questo è un segno preoccupante per coloro che ora promettono di sconfiggere l’Isis.
L’Iran sta lottando fino all’ultimo houthi, ridendo dei sauditi e degli emiratini mentre questi spendono risorse in quello che Teheran spera sarà un pantano senza fine. L’Iran guadagna in Iraq e Siria dal dirottamento delle forze sunnite nello Yemen.
Washington e Parigi hanno entrambi fatto troppe concessioni alla missione di Riyadh nello Yemen, in quanto entrambi hanno ospitato il ministro della Difesa saudita, il principe Mohammed bin Salman – il trentenne architetto della guerra in Yemen – e hanno fatto troppo poco per porre fine a questo disastro. Possono fare pressioni, insieme a Londra, in quanto controllano l’oleodotto di rifornimento militare dell’Arabia Saudita e dei suoi alleati, ma i loro tentativi poco convinti di avviare un processo politico si fanno ora molto più urgenti. Entrambe le parti hanno accettato la mediazione delle Nazioni Unite e la risoluzione del Consiglio di Sicurezza Onu per un cessate il fuoco, ma il conflitto si trascina senza sosta.
Dopo il massacro di Charlie Hebdo nel mese di gennaio, si era levato un coro di promesse ai terroristi in Yemen che hanno lanciato l’attacco a Parigi: avrebbero ricevuto una risposta globale. Invece sono più forti che mai e lo Yemen è diventato un altro campo di battaglia nella guerra settaria fra sunniti e sciiti che sta devastando il mondo islamico. Nena News
(Traduzione a cura di Giorgia Grifoni)
Pingback: Dov’è la coalizione araba nella battaglia contro l’Isis?
Pingback: Dov’è la coalizione araba nella battaglia contro l’Isis? | Informare per Resistere