Potrebbe proseguire anche nel week end il negoziato di Ginevra. Dopo quattro giorni, posizioni inconciliabili e accuse reciproche rischiano di far sfumare la speranza di un’intesa. Milioni di persone senza acqua, cibo, farmaci
della redazione
Roma, 19 giugno 2015, Nena News – Accuse incrociate, richieste inaccettabili, appigli polemici e persino un lancio di pantofole. Il negoziato di Ginevra sulla crisi yemenita potrebbe chiudersi con un nulla di fatto, mentre in Yemen la situazione umanitaria si aggrava e lo Stato islamico si è fatto vivo mercoledì, un’altra volta con attentati kamikaze che hanno inaugurato l’inizio del mese sacro del Ramadan.
I funzionari dell’Onu auspicano di riuscire ad annunciare progressi entro oggi e non hanno escluso che si potrebbe continuare a cercare una soluzione anche nel week end. All’orizzonte, però, ancora non si intravede neanche la tregua umanitaria di due settimane chiesta a gran voce dalle Nazioni Unite, per dare sollievo agli yemeniti intrappolati sotto il tiro incrociato dei raid della coalizione guidata dall’Arabia saudita, iniziati il 26 marzo, e dei ribelli Houthi che controllano buona parte del Paese, inclusa la capitale Sana’a.
Ieri la conferenza stampa degli Houthi è stata interrotta da una signora che ha lanciato una pantofola contro Hamza al-Huthi, a capo della delegazione del gruppo sciita Ansarullah che a settembre ha iniziato la sua avanzata dal nord dello Yemen verso la capitale e poi verso la città meridionale di Aden, a sud. La scarpa è stata rilanciata verso la signora che accusava gli Houthi di distruggere il Paese e ne è nata una zuffa.
A rissa terminata, Hamza al-Huthi ha espresso la speranza che le consultazioni preliminari (rigorosamente separate e mediate dall’inviato Onu Ismail Ould Cheikh Ahmed) con il governo in esilio (a Riad) del presidente Abd Rabu Mansour Hadi portino a “una sorta di accordo […], a una transizione verso le elezioni”. I ribelli vogliono Hadi fuori dai giochi, ma il presidente sostenuto dai sauditi e dalla cosiddetta comunità internazionale non ha intenzione di lasciare la guida dello Yemen. D’altronde, è stato messo lì da Riad dopo la caduta, nel 2012, di Saleh, di cui era il vice, in seguito alle proteste di piazza scoppiate sull’onda delle primavere arabe.
Gli Houthi hanno accusato l’Arabia Saudita di impiegare bombe al nitrogeno e altre armi che “massacrano le donne e i bambini”, mentre al Qaeda, che in Yemen ha la sua filiale più potente, “ne approfitta per estendere la sua influenza nell’area”. Inoltre, per il delegato dei ribelli Yaser al-Awadi, la crisi yemenita è diventata un affare lucroso per Gran Bretagna, Francia e Stati Uniti. “Le loro fabbriche di armi lavorano a pieno ritmo”, ha detto, “e i nostri bambini e le nostre donne sono diventati delle cavie”.
Le divisioni superano i punti di contatto e l’avversità tra le fazioni è tale che gli inviati di Hadi hanno lamentato la presenza a Ginevra di più di dieci delegati rivali, numero massimo consentito. Per i ribelli, però, è il numero giusto a rappresentare le diverse fazioni del loro schieramento, cioè 13.
Appigli polemici a parte, i colloqui paiono in stallo, nonostante il frenetico lavoro diplomatico di Ahmed e le dichiarazioni di “conversazioni costruttive”. Gli Houtji dicono di essere disponibili a una tregua, ma si rifiutano di ritirarsi dai territori conquistati, come chiede Hadi che richiama la risoluzione Onu approvata in Consiglio di Sicurezza ad aprile, e rivendicano il ruolo politico che ritengono gli sia stato negato dopo la cosiddetta primavera yemenita del 2011. Accettare un ritiro incondizionato sarebbe una condanna a morte per i ribelli che hanno guadagnato terreno in Yemen, coadiuvati dalle truppe fedeli all’ex presidente Ali Abdallah Saleh.
Nel Paese è in corso un confronto a distanza tra Arabia Saudita e Iran, accusato da Riad di foraggiare gli Houthi che per i sauditi sono una minaccia strategica, la mano lunga di Teheran che preme proprio ai loro confini. E mentre il braccio di ferro diplomatico sembra portare verso uno stallo della situazione, nel Paese ci sono almeno un milione di sfollati. L’Onu ha chiesto 1.6 miliardi di dollari per far fronte all’emergenza che ha scaraventato lo Yemen, già poverissimo, nel Medioevo. Mancano acqua potabile, carburante, cibo, medicine. Un Ramadan sotto le bombe, con la minaccia jihadista che semina paura tra la popolazione, gli stenti, il pericolo di malattie in agguato. Nena News
Diciamo le cose così come sono: i sauditi stanno perpetrando un genocidio nello Yemen con la complicità degli USA e appoggiati da altri stati arabi a maggioranza sunnita. Gli Houthi sono eroi della Resistenza, quello che chiedono é pienamente legittimo: avere una rappresentanza politica nel loro paese, dove sono circa il 35% della popolazione. Il “Presidente legittimo” riconosciuto dagli arabi (Hadi) é un Presidente-fantoccio messo al governo dai sauditi, che considerano lo Yemen una loro proprietà privata, gestita “per delega”. Lo Yemen era, già prima di questa guerra civile, uno dei paesi più poveri al mondo. Dopo i bombardamenti da parte dei sauditi, é stato completamente distrutto: non c’é più acqua potabile, elettricità, infrastrutture, il cibo scarseggia e le malattie infettive stanno dilagando. La stampa occidentale ne parla poco e nessuno dice le cose così come realmente stanno. L’ONU é palesemente schierato a favore dei suoi principali finanziatori: i sauditi, per l’appunto.
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