A pochi giorni dal Gran Premio, continua il durissimo giro di vite di Manama contro l’opposizione.
Roma, 1 aprile 2014, Nena News – A pochi giorni dal Gran Premio di Formula 1 in Bahrein la repressione delle autorità bahreinite continua indisturbata. Domenica tredici persone sono state condannate all’ergastolo per aver (presumibilmente) attaccato una vettura che trasportava due poliziotti e per aver preso parte ad una protesta “illegale”. A questo numero si deve aggiungere anche la condanna a 10 anni di galera per un altro manifestante reo anch’egli di aver aggredito i due poliziotti e aver partecipato alla protesta. Proteste che, iniziate nel 2011 sull’onda della “primavera araba”, continuano ad attraversare il paese nonostante il duro giro di vite di Manama e il colpevole silenzio della stampa mondiale.
E mentre fremono i motori per l’imminente Gran Premio (si incomincia venerdì 4 aprile con le prove libere), un gruppo di attivisti bahreiniti lavora da tempo affinché la gara venga rimossa dal calendario della Formula 1. I giovani de “La Coalizione del 14 febbraio” – gruppo di opposizione che, a differenza dei partiti politici come al-Wefaq e Wa’ad, ha mostrato un forte intransigenza a mediare con il governo – ha invitato a bruciare i biglietti della gara e a boicottare l’evento.
Pochi giorni fa al britannico The Guardian la nota attivista Maryam al-Khawaja – il cui padre ha un ergastolo per aver partecipato alle proteste contro la famiglia regnante degli al-Khalifa - ha chiesto al Capo Esecutivo della Formula 1, Bernie Ecclestone, e al Presidente della Federazione Internazionale dell’Automobile (FIA), Jean Todt, di annullare la tappa nel Regno perché “legittima un regime che è stato duramente criticato dalle organizzazioni dei diritti umani e da chi sostiene la libertà di stampa”. “Avere la Formula 1 in Bahrein causa violazioni dei diritti umani - ha aggiunto – aumenta vertiginosamente il numero degli arrestati sia prima, durante che dopo la corsa. Abbiamo anche donne e bambini tra gli arrestati”.
L’appello degli attivisti, però, cadrà nel vuoto. Todt è stato chiaro a inizio marzo. “La verità è che nessuna federazione internazionale sportiva può immischiarsi nella vicende politiche di un paese. La decisione di avere una competizione in un dato posto nasce dal desiderio di incoraggiare e promuovere lo sviluppo dello sport dei motori per il mondo”.
Ma sul fatto che lo sport e la politica non dovrebbero andare a braccetto non tutti sono d’accordo. Il membro della Commissione Esecutiva della Camera dell’Industria e del Commercio del Bahrein (BCCI), Nabeel Kanoo, ha detto che i tre giorni di gara costituiranno un grosso incremento per l’economia del Regno. “L’intera comunità beneficia dalla gara poiché questa porta qui tanti visitatori che spendono soldi per gli alberghi, per affittare le macchine, per i ristoranti e così via”.
Duro nei confronti degli attivisti è stato Ahmed al-Sa’ati: “quelli che si stanno opponendo alla F1 in Bahrein – ha affermato – sono traditori dello stato”. Ha del tragicomico pensare che al-Sa’ati è in Parlamento il Presidente della Commissione dei Diritti umani.
Il Bahrein è teatro di ripetute proteste da parte della comunità sciita che accusa il regime sunnita, stretto alleato degli Stati Uniti, di discriminazione politica e sociale. In tre anni di agitazione politica si sono contate decine di vittime e centinaia di arresti. Gli al-Khalifa, la famiglia che guida indisturbata il regno, nel 2011 ha dovuto richiedere l’intervento di Arabia Saudita ed Emirati Arabi per domare le manifestazioni.
Le opposizioni chiedono riforme democratiche che permettano la partecipazione di ogni componente etnica, religiosa e politica alla vita del Paese. Nel 2013 si era aperto un piccolo spiraglio per raggiungere una conciliazione tra le due parti, ma il dialogo avviato tra il governo sunnita e le opposizioni sciite era naufragato a causa dell’incessante repressione degli al-Khalifa. Le due parti sono ancora molto lontane: Manama accusa l’opposizione di essere formata da “terroristi” al soldo di Teheran. La comunità sciita, invece, ribatte denunciando la discriminazione e le violenze subite da parte della casa reale.
Ma a gravare sulla già difficile situazione interna del regno sono le pressioni esterne. Il piccolo arcipelago è di rilevanza strategica per gli alleati occidentali, in particolare per gli Stati Uniti che hanno qui la V flotta, impegnata nel conflitto in Afghanistan. Inoltre Manama è anche al centro delle “attenzioni” delle due potenze regionali: l’Iran sciita e il regno sunnita wahabita dei Saud in Arabia Saudita. Nena News