Mente peggiorano le condizioni di salute dell’attivista per i diritti delle donne Loujain al-Hathloul (l’Onu ne chiede “l’immediato rilascio”), Riyadh conquista la tappa di Gedda per il prossimo anno. Le organizzazioni per i diritti umani protestano e parlano di “sportswashing”: l’uso degli eventi sportivi per ripulire all’estero l’immagine del regno
di Roberto Prinzi
Roma, 6 novembre 2020, Nena News – Peggiorano le condizioni di salute dell’attivista saudita per i diritti delle donne Loujain al-Hathloul in sciopero della fame dalla scorsa settimana per protestare contro la sua detenzione. Ieri gli esperti del Comitato Onu per l’eliminazione della Discriminazione contro le donne (Cedaw) hanno chiesto alle autorità saudite il suo “immediato rilascio” perché il peggioramento del suo stato clinico è “profondamente allarmante”. Il Comitato, formato da 23 esperti indipendenti, ha anche espresso preoccupazione “per le recenti informazioni relative alla prolungata detenzione della Signora al-Hathloul” e per il suo non poter comunicare regolarmente con la famiglia.
Loujain, 31 anni, è stata arrestata con una dozzina di altre attiviste nel maggio del 2018, qualche settimana prima che Riyadh rimuovesse il divieto per le donne di guidare. Tre mesi prima del suo arresto aveva incontrato proprio gli esperti del Cedaw per discutere della questione dei diritti delle donne violati in Arabia Saudita. Proprio il legame con il Comitato dell’Onu, afferma il Cedaw, le avrebbe procurato le accuse di violazione alla sicurezza nazionale da parte delle autorità saudite. “I difensori dei diritti umani hanno il diritto di comunicare con l’Onu. Non dovrebbero aver paura o avere il timore di subire rappresaglie di alcun genere”, ha affermato il pannello di esperti delle Nazioni Unite.
Dal 2018 alcune attiviste sono state provvisoriamente rilasciate, mentre altre, come Hathloul appunto, continuano a restare dietro le sbarre dopo processi discutibili, secondo quanto denunciano le organizzazioni per i diritti umani. Lo scorso 26 ottobre Loujain ha iniziato a rifiutare il cibo come già aveva fatto ad agosto per protestare per le condizioni della sua prolungata detenzione. La sua famiglia ha più volte accusato le autorità carcerarie di averla molestata e torturata con scariche elettriche e waterboarding. Riyadh, però, nega.
Ma la questione dei diritti umani in Arabia Saudita interessa ben poco alla comunità internazionale. Nelle stesse ore infatti in cui il gruppo di esperti dell’Onu esprimeva le sue preoccupazioni per le condizioni dell’attivista, il regno wahhabita veniva nuovamente premiato dal mondo dello sport: il prossimo anno ospiterà infatti una tappa di Formula Uno. Al di là del prestigio sportivo, secondo molti attivisti dei diritti umani il vero intento di Riyadh è soprattutto un altro: ripulire la sua immagine internazionale apparendo così una destinazione turistica “normale”. Per gli attivisti si tratta di “sportswashing”: utilizzare cioè gli eventi sportivi per creare all’estero una immagine positiva del proprio stato (ne sa qualcosa l’Italia che in Arabia Saudita ha giocato le recenti finali di Supercoppa italiana di calcio).
Il capo della Formula 1, Chase Carey, ha detto addirittura che la sua organizzazione è “eccitata di dare il benvenuto all’Arabia Saudita” nello sport aggiungendo poi (ipocritamente) che tutti i partner e i paesi ospitanti devono impegnarsi a “rispettare i diritti umani”. Sulla questione è intervenuto anche il sei volte campione di Formula 1 Lewis Hamilton, che in più circostanze si è espresso contro il razzismo sostenendo apertamente il movimento statunitense “Black Lives Matter”. La scorsa settimana, però, il fuoriclasse della Mercedes è apparso titubante rispetto ad altre sue battaglie affermando che dovrà prima conoscere meglio la situazione saudita, ma che comunque lo sport può essere “una potente piattaforma per iniziare un cambiamento”. Più diretto è stato invece Felix Jakens, capo di Amnesty International per il Regno Unito, che ha chiesto ai “piloti, proprietari e squadre [di Formula 1] di parlare della situazione dei diritti umani nel Paese e mostrare solidarietà ai difensori dei diritti umani detenuti”.
Ad esultare, intanto, è il principe Khalid bin Sultan al-Faisal, presidente della Federazione automobile e motociclette dell’Arabia Saudita: “Credo fortemente che il gran premio sarà il maggiore evento sportivo ospitato nella storia del regno e ha il potenziale di cambiare vite, percezioni e raggiungere un nuovo pubblico e comunità”. La tappa saudita, che avrà luogo vicino al lungomare di Gedda, sarà molto probabilmente la terza in Medio Oriente. I gran premi del Bahrain e Abu Dhabi dovrebbero essere infatti confermati per il calendario del 2021. Nena News