Alì Salman è stato condannato per disobbedienza, istigazione all’odio nei confronti dei cittadini sunniti del regno e per aver insultato il ministro degli interni
della redazione
Roma, 16 giugno 2015, Nena News – Un tribunale del Bahrein ha condannato stamane a 4 anni di carcere il leader dell’opposizione bahreinita Alì Salman per disobbedienza, istigazione all’odio nei confronti dei cittadini sunniti del regno e per “aver insultato un corpo ufficiale”, ovvero il ministro degli interni. Tuttavia, la corte lo ha assolto dall’accusa più seria: quella di rovesciare la monarchia e cambiare il sistema politico.
La notizia della sua condanna è stata confermata su Twitter da al-Wefaaq, la maggiore coalizione di opposizione nel Paese.
Salman, segretario generale del Wefaaq, è finito in cella lo scorso 28 dicembre per avere partecipato a una manifestazione contro le elezioni legislative che sono state boicottate dalla maggioranza sciita. Tra le accuse contestategli vi furono anche quelle di rovesciare il regime e di collaborare con potenze straniere.
Accuse respinte con forza da Salman, noto per essere un leader moderato e tra quelli che hanno sostenuto il dialogo nazionale rilanciato dalla casa reale nel 2014, ma fallito anche per l’arresto dell’allora segretario generale di Wefaaq, Khalil al Marzooq. L’arresto di Salman, a differenza di quanto è successo e accade con gli altri attivisti bahreniti, ha sollevato diverse critiche da parte delle organizzazioni locali e internazionali tra cui Amnesty International che ha chiesto il suo rilascio.
Non è l’unico oppositore finito dietro le sbarre. Tra quelli più noti ci sono l’attivista per i diritti umani Nabeel Rajab, direttore del Centro per i diritti umani del Golfo e cofondatore del Centro per i Diritti Umani nel Bahrein, che rischia venti anni di carcere per avere denunciato in un tweet la provenienza di combattenti dell’Isis dai ranghi delle forze di sicurezza del regno. Tra gli arrestati, inoltre, figurano anche l’ex presidente Centro per i Diritti Umani nel Bahrein, Hadi al Khawaja e sua figlia Zaynab.
Tra le rivolte arabe, quella del Bahrein è stata quella su cui si sono accesi meno i riflettori occidentali. Eppure l’opposizione alla monarchia sciita (in un Paese a maggioranza sunnita) è stata dispersa con forza dall’intervento delle truppe del Consiglio di cooperazione del Golfo (CCG), sorta di Nato della Penisola arabica dominato dall’Arabia Saudita.
Dalla sollevazione popolare del febbraio 2011, l’arcipelago del Golfo Persico è in fibrillazione: le proteste, sebbene ridimensionate nei numeri e nella frequenza, non si sono mai fermate nonostante la dinastia sunnita Al khalifa abbia stretto la morsa sugli oppositori del regime. Blitz della polizia, arresti, torture nelle carceri continuano e rischiano di alimentare le divisioni tra sciiti e sunniti.
Le proteste bahreinite hanno portato alla morte decine di manifestanti e la scomparsa di tanti altri. Migliaia di oppositori sono finiti in carcere e in centinaia sono stati mandati in esilio. Le riforme promesse dalla casa reale non sono mai state realizzate e, nel silenzio internazionale, gli Al Khalifa hanno promulgato leggi liberticide che di fatto sospendono il diritto di manifestare e limitano i movimenti degli esponenti politici. Sono state inasprite, inoltre, le pene per il reato di oltraggio al re e nel pacchetto di norme anti-terrorismo c’è pure il carcere “per negligenza” (fino a un anno) per i genitori di minorenni che commettono “atti terroristici”.
Il minuscolo regno è un alleato strategico degli Stati Uniti essendo la base della V flotta Usa. E’, quindi, considerato un bastione occidentale contro le mire espansionistiche dell’Iran. Nena News
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