Per la polizia la donna “ha violato l’etica pubblica” imposta dal wahhabismo, l’interpretazione estremamente conservatrice dell’Islam che è alla base della casa regnante saudita
della redazione
Roma, 13 dicembre 2016, Nena News – Una donna è stata arrestata ieri in Arabia saudita per alcune sue foto postate su Twitter lo scorso mese in cui non indossa il velo. A rendere nota la notizia è stato il portavoce della polizia, Fawaz al-Maiman. In un comunicato, l’ufficiale ha lodato il comportamento delle forze dell’ordine perché hanno agito in base alla loro funzione di garanti “dell’etica pubblica”. Il portavoce ha poi aggiunto che la ventenne – alcuni siti la identifichino con Malak ash-Shehri – ha anche “parlato apertamente di relazioni proibite con uomini che non le sono parenti”. “La polizia di Riyadh – ha quindi concluso Maimam – sottolinea come le azioni di questa donna abbiano violato le leggi di questo Paese che seguono gli insegnamenti dell’Islam e l’ha perciò arrestata”.
Le manette strette ai polsi della presunta ash-Shehri sono solo l’ultimo grave episodio di cui sono vittime le donne saudite che, represse da una legislazione durissima nei loro confronti, utilizzano spesso i social media per protestare e denunciare le privazioni cui sono soggette nel Paese.
Ad agosto una mobilitazione online contro il sistema di tutela maschile ha avuto ampia eco dentro e fuori il regno. La petizione, lanciata dall’attivista e ricercatrice Salman Hala Aldosari, ha superato in due mesi le 14.000 firme incassando il sostegno di organizzazioni, associazioni di base e singoli cittadini.
Secondo il sistema di tutela, la donna è costretta ad ottenere dal proprio “guardiano” (che può essere il marito, il padre, il fratello e nel caso delle vedove il figlio) il permesso per vivere la propria vita: uscire dal paese, ricevere cure mediche, sposarsi, lavorare, studiare, chiedere l’emissione del passaporto e di qualsiasi altro documento di identità e, addirittura, uscire di prigione alla fine della pena.
Sia nel 2009 che nel 2013 il governo saudita, sotto pressione del Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite, ha promesso di abolirlo. Ma non lo ha mai fatto limitandosi a far passare qualche riforma, mero maquillage. La prigione sociale vissuta dalle donne arriva fino alla partecipazione politica: solo lo scorso anno la petromonarchia ha approvato la legge che riconosce loro il diritto a votare. Ovviamente quelle che sono riuscite a infilare la scheda nell’urna l’hanno potuto fare solo se accompagnate da un uomo, in seggi ovviamente separati da quelli maschili. Elementi che contribuiscono a spiegare perché hanno votato meno del 10% delle aventi diritto, 130mila donne su un milione e mezzo.
Alla battaglia contro la tutela, si è affianca da tempo quella per il diritto alla guida. Nessuna legge formale vieta alle donne di guidare in Arabia Saudita, ma i religiosi ultraconservatori hanno emesso fatwe (editti) molto rigide in materia e le autorità “civili” non rilasciano le patenti di guida. Nel 1990, cinquanta donne furono arrestate per aver guidato. Si videro confiscare i passaporti e in non pochi casi persero il lavoro. Più di 20 anni dopo, nel 2011, una donna è stata condannata a dieci frustate per essersi messa a volante (il re ha poi annullato la sentenza). Processate addirittura per “terrorismo” sono state alla fine del 2014 Loujain Hathloul (25 anni) e Maysaa al Amoudi (33). Il loro crimine? Aver deciso di mettersi al volante. La battaglia per guidare ebbe un grande successo: in poco tempo i social network si riempirono di foto di donne al posto di guida che mandarono su tutte le furie le autorità locali.
Da tempo l’Arabia Saudita è nel mirino delle organizzazioni internazionali per la violazione dei diritti umani. Accanto alla denuncia per l’alto numero di persone giustiziate con pena capitale, nei suoi report Amnesty International ha duramente accusato la monarchia per le gravi discriminazioni che le donne continuano a subire, nonostante qualche segnale di riforma e alcuni provvedimenti puramente cosmetici come la scelta di un vice ministro donna. Pesano sempre le disposizioni che regolano il divorzio e la custodia dei figli, l’assenza di una legge che criminalizza la violenza sulle donne e i pesanti abusi che subiscono le lavoratrici domestiche.
Ma l’estremismo conservatore wahhabita punisce anche gli uomini. Recentemente la polizia ha arrestato vari attivisti che si sono fatti filmare mentre si scambiavano “liberi abbracci” nella capitale. A settembre le autorità locali hanno condannato a 3 anni di prigione il 19enne Abu Sin per aver registrato un video che “produce una influenza negativa” sugli altri utenti della rete.
Tuttavia, le violazioni dei più basilari diritti umani passano in secondo piano in Occidente visti i contratti miliardari di armi e di petrolio che legano fortemente le cancellerie europee e statunitense con i Paesi del Golfo. Significativo, a tal proposito, il viaggio compiuto la scorsa settimana dalla premier britannica May nella regione. Tra una denuncia all’Iran e la stipula di intese milionarie, la prima ministra ha affermato la necessità di una partnership strategica tra l’Inghilterra e gli Stati del Golfo. Con buona pace dei diritti umani (e delle donne in particolare) di cui tanto l’Occidente si fa promotore. Nena News