Secondo il fondatore di “Giovani contro gli Insediamenti”, la popolazione palestinese vuole ripetere la Prima Intifada dove ci fu partecipazione collettiva e fu per lo più non armata. «Israele – sostiene l’attivista – sta aspettando una nostra deriva violenta per annientarci»
di Irene Canetti
Hebron, 24 ottobre 2015, Nena News – In meno di un mese, l’escalation di violenze in Palestina e Israele ha portato alla morte di 48 Palestinesi e 9 Israeliani. Per molti si può chiamare Intifada, per altri questa sarebbe una definizione infondata o avventata. Ne abbiamo parlato con Issa Amro, attivista di Hebron-Al Khalil, città al centro di molti scontri, e fondatore del gruppo di resistenza non-violenta dei Giovani contro gli Insediamenti (Youth Against Settlements).
Qualcuno afferma che una Terza Intifada è ormai in corso, qualcuno la chiama “Intifada dei coltelli”, altri affermano che è scorretto attribuire questo nome agli scontri e al clima violento che da oltre un mese si respira in Palestina, e che ha provocato molte morti, soprattutto da una delle due parti. Come definiresti la situazione attuale? Si potrebbe chiamare Intifada? E da dove nasce?
E’ una vera e propria Intifada. E’ prevalentemente portata avanti dalla resistenza popolare, da proteste, da scioperi. I “coltelli” sono solo una piccola parte di essa. Personalmente, credo che abbia avuto origine dal bisogno di porre fine all’occupazione e di difendere i siti sacri dei palestinesi, così come anche di reagire al terrore dei coloni. Il perché l’insurrezione sia avvenuta proprio ora penso sia attribuibile all’Autorità Palestinese, che da lungo tempo impediva alle persone di “resistere”. La gente era molto scontenta, stava letteralmente bollendo e covava la sua rabbia, ma l’ANP la controllava, non la lasciava protestare liberamente. Quando Abu Mazen, nel suo discorso alle Nazioni Unite, ha affermato che noi non ci riterremo più impegnati negli accordi di pace se anche Israele non li rispetterà, la popolazione ha capito che il tempo delle trattative era finito, è esplosa ed è scesa in strada. E l’ANP non l’ha fermata come aveva fatto le altre volte.
Quella di Hebron-Al Khalil è una situazione molto particolare e per natura complessa. Molti dei palestinesi uccisi in questo mese provenivano da Hebron. Quante sono ad oggi le vittime della città? Puoi descriverci l’atmosfera che si respira, le tensioni con i coloni e con l’esercito, e che attività stanno svolgendo la tua e le altre organizzazioni sul territorio?
E’ una situazione di alta tensione, si vive in un clima di tristezza e rabbia. Abbiamo perso circa 14 persone. I coloni hanno iniziato ad attaccare più violentemente gli abitanti, lanciando pietre e molotov. Picchiano, urlano, sparano. Gli abitanti sono costretti a difendere le loro case e la loro terra. Ovviamente anche qui, come nel resto della West Bank, a queste violenze i palestinesi rispondono con le rivolte, e gli scontri sono frequenti. Vogliamo liberarci dell’occupazione, dell’apartheid, della discriminazione, e degli insediamenti illegali. Naturalmente quello che si vive qui è molto più duro rispetto a quello che sta accadendo nel resto della Cisgiordania, perché in questa città i coloni hanno la priorità assoluta su tutto. Dettano legge, giudicano, hanno le spalle coperte dal governo israeliano e dall’esercito, che esegue qualsiasi cosa essi chiedano. Israele non sta in realtà difendendo se stesso. Sta difendendo la sua occupazione e i suoi insediamenti illegali. E quindi i coloni. Noi (volontari e attivisti, ndr) siamo diventati un target, abbiamo maggiori restrizioni sui movimenti, subiamo più attacchi. Quello che facciamo è filmare gli atti di violenza, organizzare proteste, e lavoriamo molto sui media, sull’informazione. Abbiamo anche organizzato dei comitati di sentinelle, di guardie civiche, che proteggano le famiglie dagli attacchi notturni dei coloni.
Una delle prime vittime di questo autunno caldo è stata Hadeel Hashlamoon, uccisa il 22 settembre scorso presso un check point in Shuhada Street (la via principale della città, ora per molti tratti chiusa ai palestinesi, ndr), alla cui morte avrebbero assistito alcuni volontari della tua organizzazione. Puoi spiegarci come sono andati i fatti e di quali prove siete in possesso?
Hadeel era arrivata al checkpoint. I soldati sostengono che possedesse un coltello. Le hanno urlato contro degli ordini, ma lei non poteva capire cosa le stessero dicendo, perché le parlavano in ebraico. Si è allontanata dai soldati, si è posta dalla parte dell’uscita del checkpoint per lasciarlo, ma l’hanno allora sparata con 10 colpi d’arma da fuoco, senza alcun motivo. Abbiamo delle foto che riprendono quella scena, scattate da volontari internazionali (sulla pagina Facebook dello YAS questa e altre foto). Esse dimostrano anche che Hadeel non era in possesso di armi (come si vede qui ). Questo è solo un esempio delle violenze e delle bugie di Israele, di cui possediamo molte prove. Guardate, per esempio, questo filmato , prodotto dall’organizzazione non violenta Btselem.
Una vittima più recente è, invece, Hashem Azzih, famoso non solo tra i palestinesi ma anche tra gli internazionali, che lascia sicuramente un vuoto importante nella comunità e in particolare tra i membri dell’attivismo di Hebron.
Hashem abitava molto vicino agli insediamenti israeliani. Era un buon padre di famiglia, una brava persona e un coraggioso attivista.. La sua morte è stata senza dubbio causata dall’occupazione: aveva bisogno di un’ambulanza, ma questa è arrivata in ritardo, a causa della chiusura delle strade e dei checkpoints. In seguito alla sua morte, la città ha reagito con grandi proteste. Quanto a me, in seguito alla perdita di Hashem ho avvertito pienamente che siamo tutti target di Israele. E’ solo questione di tempo perché ci uccidano tutti, uno ad uno.
Gideon Levy, giornalista israeliano di Haaretz, ha affermato che anche Gandhi comprenderebbe la violenza dei palestinesi. Questo, per quanto curioso, cade un po’ in contrapposizione con l’idea di resistenza non violenta del tuo gruppo, che si batte esclusivamente per la realizzazione di un’ “Intifada culturale”. Siete ancora convinti che, accanto a quella pacifista, la Palestina non abbia bisogno anche di una rivolta violenta?
Non è violenza. La maggior parte di quest’Intifada è non violenta ed abbiamo bisogno che per la maggior parte resti tale. Israele sta aspettando una nostra deriva violenta per annientarci. E’ molto più forte di noi, e la maggioranza della nostra popolazione non può e non sa usare la violenza. Abbiamo avuto l’esperienza della Seconda Intifada e del suo fallimento. In Palestina, tutti vogliono ripetere non la Seconda ma la Prima Intifada, che ottenne la partecipazione collettiva, e che era principalmente non violenta. Io avverto questo desiderio comune nella popolazione. Non c’è voglia di violenza, c’è l’aspirazione di tornare allo spirito della Prima Intifada.
Voi palestinesi, in questo quadro di tensione, vi sentite abbandonati dalla stampa internazionale e dall’opinione pubblica? O traditi dalla narrazione dei fatti?
Da qui vediamo che gli internazionali non capiscono cosa sta accadendo. I vostri media pongono sullo stesso piano gli oppressi e gli oppressori, equiparano nel narrare i fatti gli occupanti e gli occupati, non raccontano affatto cosa succede realmente. Buttano nello stesso calderone i coloni violenti e i soldati pesantemente armati di Israele e i civili palestinesi. I media occidentali stanno sostenendo ciecamente Israele.
Le recenti dichiarazioni di Netanyahu, che ha attribuito al Mufti buona parte delle responsabilità della Shoah, hanno dimostrato quale sia il livello di odio nei confronti degli arabi che anima la sua politica. Qualcuno ha detto che la sua affermazione sta preparando la strada alla caduta di Abu Mazen. Del resto, le rivolte dei palestinesi sembrano non sortire troppi effetti, se non un alto numero di morti e il timore che la vendetta si scateni di nuovo sulla Striscia di Gaza. Cosa dovremmo aspettarci? Il quadro è destinato ad aggravarsi o le rivolte torneranno a tacere spontaneamente?
Netanyahu non fa che mentire. Prova ad usare il sangue degli ebrei per ottenere sostegno politico. E’ arrivato persino ad incolparci per la storia del nazismo, questa è la prova più evidente del livello che possono raggiungere le sue bugie. Non credo che voglia distruggere l’Autorità Palestinese, vuole semplicemente che essa lavori sotto il suo diretto comando. Non mi aspetto niente di buono da Netanyahu, è pronto a spingersi sempre più oltre con la violenza. La situazione è destinata ad aggravarsi: dal momento che l’unica soluzione è la fine dell’occupazione, credo che le rivolte dei palestinesi continueranno ad andare avanti fino a che questa non arriverà. Ci saranno momenti in cui quest’Intifada sarà più accesa, momenti in cui sembrerà calmarsi, ma continuerà. Naturalmente, Israele userà la forza, come sta già facendo, per vendicarsi. Potrebbe bombardare di nuovo Gaza, ma anche, perché no, la West Bank. Non sono né ottimista né pessimista in merito a queste rivolte, sono realista: so per certo che l’occupazione produrrà ancora molte altre morti. Altre vite ancora saranno perse, nel corso dell’Intifada. Ma il prezzo della libertà è alto, e questa volta non ci fermeremo. Il nostro sangue è la sola soluzione per garantire la libertà ai nostri figli. Nena News