La legge 52 garantisce a Stato e polizia i mezzi per la repressione, che colpisce soprattutto i quartieri popolari. La voce dei rapper e dei blogger contro il proibizionismo.
di Patrizia Mancini – Tunisia in Red
Tunisi, 9 aprile 2014, Nena News – La proibizione del consumo di cannabis in Tunisia risale al periodo dell’Indipendenza. Tuttavia il suo utilizzo era relativamente tollerato negli anni ’60 e nei quartieri popolari della medina come Bab Jedid, Bab El Menara o Bab El Khadra e per molti era parte della convivialità quotidiana e rituale ispiratrice di legami sociali profondi. “Girava roba buona che veniva dall’Algeria, non la schifezza compressa di oggi”, ricorda H.M., 65 anni di cui 31 trascorsi sui camion in giro per mezza Europa. “A Bab Jedid spesso fumavano in strada, l’odore dell’hashish somigliava a quello di un tipo di sigaretta terapeutica che a quei tempi veniva venduta in farmacia. Se qualcuno faceva osservazioni, gli dicevamo che ci stavamo curando! Oppure a casa di un amico ci facevamo un bel calumet tutti insieme. La polizia, in quel periodo, neanche si sognava di fare irruzione!”.
Il prezzo per una quantità sufficiente a preparare 2 spinelli è di 5 dinari (circa 2,5 euro), ma se lo spacciatore è un amico dell’acquirente per lo stesso prezzo gliene dà un bel pezzetto in più e di qualità, mentre a “facce sconosciute nel quartiere” si cerca di rifilare roba scadente. Il luogo principale dello spaccio di “zatla” è la zona di Sidi Mansour, dove i “coatti” locali spesso girano con un pitbull al guinzaglio, mentre a Melassine gira la roba “pesante”.
Con l’avvento della dittatura di Ben Alì, la repressione è divenuta più pesante anche nei confronti dei fumatori di cannabis, fornendo al potere un ulteriore strumento di controllo sociale proprio nei confronti dei giovani dei quartieri popolari. Con la promulgazione della legge 52 del 18 maggio 1992 si definisce il passaggio netto verso la tolleranza zero nei confronti dei consumatori e allo stesso tempo si fornisce un eccellente strumento di ricatto per tutto l’entourage di informatori e spie che attorniava la polizia, spina dorsale del “sistema Ben Alì”.
La legge 92-52 del 18 maggio 1992 prevede per le infrazioni di detenzione, uso e commercio di sostanze stupefacenti o narcotici un trattamento specifico che deroga dalle regole ammesse per l’insieme delle infrazioni penali. Infatti, come recita l‘Art. 12, “le disposizioni dell’articolo 53 del codice penale non si applicano alle infrazioni previste dalla presente legge, cioè per questo reato non si possono applicare le attenuanti, previste invece per crimini ben più gravi”. Per questo motivo il reato rimane iscritto nel casellario giudiziario della persona giudicata.
Art. 4: sarà punito con il carcere da uno a cinque anni e a una ammenda da mille a tremila dinari chiunque consumi o detenga per uso personale piante o sostanze stupefacenti, se non nei casi previsti dalla legge. Anche il semplice tentativo è punibile. Appare evidente l’amplia discrezionalità lasciata a chi debba definire cosa sia un “tentativo”.
Art. 8: sarà punito con il carcere da sei mesi a tre anni e a una ammenda da mille a cinquemila dinari chiunque frequenti consapevolmente un luogo destinato e attrezzato all’uso di stupefacenti e nel quale se ne faccia uso.
Più tardi la Tunisia si dotava dell’apparecchiatura per l’analisi delle urine che avrebbe dovuto essere utilizzata per l’antidoping agli sportivi. Non è mai stata utilizzata in quell’ambito, ma esclusivamente per testare il livello di tetrahidrocannabinol (principio attivo della cannabis) su quanti venivano fermati per consumo di stupefacenti, ma anche, del tutto arbitrariamente, su giovani fermati per altri motivi. Fino ai nostri giorni.
Il ruolo della polizia
F.L., del quartiere di Bab el Menara, è entrato e uscito dal carcere di Mornaguia per quattro volte, dal 1998 al 2012, accusato solo per consumo, senza che gli avessero trovato traccia di zatla addosso.“Quelli della ‘droga’ venivano stigmatizzati e maltrattati più degli altri – racconta – sin dal momento delle analisi delle urine che del resto erano fatte a forza. Mi facevano bere litri e litri d’acqua se non riuscivo subito a pisciare. Chi aveva i soldi pagava un poliziotto per pisciare al suo posto e se ne usciva ‘pulito’ dal posto di polizia. Le botte cominciavano subito, sin dall’arrivo al Samu (presidio sanitario). Poi nel commissariato c’era una stanza speciale, appesi a una parete c’erano diversi modelli di bastoni e il poliziotto mi diceva di scegliermi quello con il quale sarei stato picchiato. Una volta mi hanno sparso di acqua fredda e spruzzato un gas sui genitali che mi si stringevano in contrazioni dolorose, poi mi hanno rotto un piede e dato un calcio in faccia. Vedi la cicatrice? In carcere ho conosciuto gente di Ennahda, si dicevano scandalizzati per il trattamento riservatoci, ma poi quando sono arrivati al governo, neanche una parola per modificare la legge 52 o almeno, per eliminare la macchina delle analisi, eppure gli islamisti hanno sperimentato la tortura sulla loro pelle!”. F.L. ha preparato un dossier medico per denunciare quanto accadutogli, ma la polizia lo ha minacciato di fargli avere una condanna di 10 anni se avesse osato parlare. E questo succedeva anche nel 2012, dopo la rivoluzione.
Se questo è il trattamento riservato a un semplice weld el huma (ragazzo, figlio del quartiere), cosa può succedere ad uno spacciatore di hashish che decide di non pagare più il pizzo ai poliziotti? Nel novembre 2013 Walid Danguir un piccolo trafficante di Bab Jdid muore nel posto di polizia dove è stato portato. Le foto del suo cadavere mostravano evidenti segni di tortura. Aveva avuto diverbi con la banda di poliziotti-gangster che monopolizzavano il traffico di alcol e stupefacenti nella zona, in particolare con il loro capo, Faouzi Lembi, che verrà costretto a lasciare il quartiere dopo giorni e giorni di manifestazioni, anche violente, di fronte alla sua abitazione. Ma si arriverà a dire che Walid è morto per overdose di hashish.
Fu aperta allora un’inchiesta da parte del Ministero degli Interni, ma finora non ci risulta abbia portato a chiarire le circostanze dei fatti, né tanto meno all’incriminazione dei colpevoli.
All’estero hanno avuto molta eco gli arresti di rappers e artisti con mobilitazioni in loro sostegno e ciò è senz’altro positivo per la causa della lotta contro la legge 52, ma occorre sottolineare come spesso venga lasciato ai margini chi non è famoso, chi non rappresenta la fonte per un succulento e prevedibile articolo “in difesa dell’arte e della libertà d’espressione” di cui i media occidentali vanno sempre a caccia.
Poiché se è dimostrato che la legge 52 viene utilizzata per reprimere dissenso e cercare di azzittire chi denuncia le malefatte del potere come è avvenuto nel settembre 2013 per Nejib Abidi, Yahia Dridi, Abdallah Yahia, Slim Abida, Mahmoud Ayad e Skander Ben Abid , è altrettanto vero che essa rimane uno strumento di ricatto poliziesco nei confronti dei diseredati e dei più deboli, riproducendo al contempo delinquenza e degrado nei loro quartieri tramite i traffici illegali gestiti direttamente dai poliziotti. E non solo: chi viene imprigionato per aver fumato uno spinello, si trova in cella con delinquenti abituali, colpevoli di crimini ben peggiori e sovente si ritrova a riprodurre comportamenti criminosi appresi durante la permanenza in carcere. E solo la descrizione dei carceri tunisini meriterebbe un capitolo a sé.
Voci contro
All’indomani della rivoluzione, la parola si libera: nel maggio 2011, la prima voce a levarsi contro la legge 52 e per la legalizzazione delle droghe “morbide” fu quella di Slim Amamou, blogger famoso e ex- sottosegretario presso il Ministero per le politiche giovanili del primo governo post-rivoluzionario, ora militante del Partito Pirata Tunisino. Nel 2012 viene fatto un primo tentativo di strutturare un movimento intorno a questa problematica, tradizionalmente tabù in Tunisia. Viene creato un gruppo su Facebook “Tous unis pour la légalisation du cannabis” che in poco tempo riesce ad avere 4000 membri, ma alla manifestazione del 18 febbraio di fronte alla sede dell’Assemblea Nazionale Costituente le 700 persone che manifestano per l’abrogazione della legge 52 verranno disperse dalla polizia. La settimana successiva tre rappers riconducibili al movimento vengono arrestati mentre fumano in una casa privata. Sporadici sit-ins si terranno per protestare contro l’arbitrio della legge 52.
Nel 2013 a seguito dell’arresto di altri rapper e del gruppo del documentarista Nejib Abidi si è nuovamente cercato di sensibilizzare l’opinione pubblica tunisina sul tema.
Intanto, per la prima volta in assoluto, un semplice cittadino, Souhail Bayoudh, anche lui weld el huma, di Bab El Khadra mette in rete alcuni video di testimonianza di consumatori abituali di cannabis che, a volto scoperto, mettendoci letteralmente la loro faccia, raccontano la quotidianità del rito del “fumo” nel loro quartiere e le malversazioni subite da parte della polizia. La concezione è originale: come una soap opera a puntate, Souhail pubblica la sua serie di video, Matetfarjouch Fina, che spopolano in rete. Leit-motiv dei filmati: la legalizzazione della zatla, basta con el 3am wel vespa (con riferimento all’anno di carcere e all’ammenda di circa 1200 dinari, 600 euro, con la quale ci si poteva comprare una vespa).
[I video: Matetfarjouch Fina 1, Matetfarjouch Fina 2, Matetfarjouch Fina 3]
“Hanno trovato il coraggio di testimoniare – ci dice Souhail – perché sapevano che, come loro, anche io vengo dai quartieri vecchi della Medina, quei quartieri la cui cultura è stata stravolta dall’arrivo in massa di gente che veniva da una cittadina all’interno del paese, Jelma. Fu Ben Alì che facilitò questo esodo verso i nostri quartieri e la famiglia di sua moglie, i Trabelsi, mise in mano loro tutto il commercio della paccotiglia cinese. I diversi codici comportamentali e morali provocano a tutt’oggi scontri violenti fra gli autoctoni e i gli originari di Jelma…molti degli abitanti della Medina si sono trasferiti altrove. Ma i ragazzi che fumano non danno fastidio a nessuno, si riuniscono in casa di un amico con un thé e uno spinello. Io personalmente ritengo che questa legge rifletta anche il moralismo nei confronti del piacere del corpo che si cerca in ogni modo di nascondere e reprimere” .Souhail Bayoudh ha lanciato in questi giorni la sua associazione “Forza Tounes” fra i cui scopi c’è quello di rilanciare un dibattito nazionale sulla legge 52.
Nel mese di febbraio 2014 è stata avviata anche l’iniziativa “Al Sajin 52” (prigioniero della 52) a cui , fra gli altri, ha contribuito attivamente l’avvocato Ghazi Mrabet, impegnato da tempo nella difesa di attivisti e rappers. Il 15 marzo scorso durante un animato dibattito presso la sede di Nawaat si sono scontrate due visioni diverse della questione (riformare la legge o depenalizzare il consumo?) alcuni medici hanno parlato della zatla come una droga nociva alla salute che porterebbe all’assuefazione, provocando la reazione dei giovani consumatori che, cifre alla mano, hanno citato alcolismo e sostanze psicotrope presenti in alcuni medicinali regolarmente venduti in farmacia come causa di danni alla salute ben maggiori dell’erba o del hashish. Il gruppo promotore ha inviato una lettera al Primo Ministro Mehdi Joôma in cui si chiede un confronto con la società civile al fine di modificare la legge 52.
A tre anni dalla rivoluzione popolare che ha cacciato il dittatore non è ancora stata avviata una seria revisione di nessuna parte della legislazione e i metodi polizieschi rimangono gli stessi con un peculiare e sadico accanimento contro i giovani. Il 30% della popolazione carceraria in Tunisia è composta da persone accusate di consumo di droghe. Per quanto riguarda la cura delle tossicodipendenze la maggior parte dei centri di cura sono stati chiusi. E’ urgente che si apra un dibattito sereno e costruttivo sulla legge 52 da parte di tutte le fasce della popolazione interessate alla problematica.