Secondo un rapporto delle Nazioni Unite, l’ex presidente Saleh, suo figlio e tre ribelli huthi “minano la transizione democratica dello Yemen”. Il Paese è da mesi sull’orlo del collasso: ieri 33 morti in attentati rivendicati dai qa’edisti di Ansar al-Sharia. Rapiti 12 ribelli huthi
della redazione
Roma, 21 ottobre 2014, Nena News – L’Onu imporrà sanzioni a cinque figure di spicco del mondo politico yemenita accusate, in un rapporto stilato da un gruppo di esperti delle Nazioni Unite, di “minare la transizione democratica dello Yemen”. A riferire la notizia è l’emittente panaraba al-Jazeera citando alcuni diplomatici arabi.
I cinque sono l’ex presidente Alì Abdullah Saleh, suo figlio Ahmed Alì (in passato Brigadiere Generale della Guardia Repubblica in seguito nominato ambasciatore negli Emirati Arabi Uniti) e tre importanti ribelli huthi: il leader Abdul Malik al-Huthi, suo fratello Abdul Khaleq e il capo militare Abu Ali al-Hakem.
Secondo il rapporto, Saleh – il cui governo trentennale è terminato in seguito alle proteste popolari del 2012 – utilizza l’attuale caos politico in cui versa lo Yemen per ristabilire la sua influenza all’interno del Paese.
Molti analisti sostengono che vi è una alleanza segreta tra Saleh e i ribelli huthi (appartenenti quest’ultimi alla branca dello sciismo zaidita). Senza il sostegno del’ex Presidente, argomentano i commentatori, gli huthi non sarebbero riusciti a controllare molte parti del Paese (tra cui la capitale Sana’a).
Tuttavia, punirli con lo strumento delle sanzioni si rivelerà di poca utilità: Saleh, infatti, gode dell’immunità diplomatica e i tre ribelli huthi hanno al momento un ruolo così importante (militarmente e diplomaticamente) che sarà difficile condannarli. Inoltre, non avendo conti bancari e non viaggiando, non ne sarebbero molto colpiti.
Lo scorso febbraio il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha stabilito di punire con le sanzioni coloro che in Yemen ostacolano la transizione politica del Paese o commettono gravi violazioni dei diritti umani. Una decisione che fino a ieri era restata lettera morta: nessuno, infatti, era stato colpito dalla disposizione dell’Onu.
Intanto, nel disinteresse delle cancellerie occidentali, proseguono le violenze nel Paese. Ieri almeno 33 persone sono morte in un attentato suicida e in scontri armati avvenuti nella provincia di Bayda’a. Gli attacchi sono stati rivendicati dal gruppo qaedista degli Ansar al-Sharia. Il gruppo fondamentalista islamico, inoltre, ha dichiarato di aver rapito 12 ribelli huthi.
Residenti e attivisti locali hanno detto che i miliziani di al-Qaeda sono entrati ad Odayn [città di 200.000 abitanti nella provincia di Ibb, ndr] e hanno occupato i suoi offici governativi su cui hanno issate le loro bandiere nere. Ma i fondamentalisti islamici hanno colpito anche l’aeroporto militare di Umm al-Maghareb nella provincia orientale di Hadramout (non molto lontano dal confine saudita) saccheggiando notevoli quantità di materiale militare.
Le condizioni di sicurezza in Yemen sono deteriorate da quando lo scorso mese i ribelli huthi hanno preso il controllo della capitale Sana’a e di ampie zone del Paese. Le loro rapide conquiste hanno scatenato l’offensiva terroristica di al-Qa’eda la quale considera gli sciiti huthi “eretici” e, politicamente, li reputa pedine nelle mani di Tehran.
A complicare il già complesso quadro yemenita, vi sono poi i secessionisti del sud che chiedono a gran voce l’indipendenza. Secondo gli analisti una eventuale divisione del Paese darebbe ad al-Qa’eda maggiore libertà di azione nelle province meridionali dove è già molto forte nonostante le ripetute campagne militari di Sana’a (con l’aiuto dei droni statunitensi) abbiano allontanato i fondamentalisti dalle principali città prima sotto il loro controllo. Nena News