Il breve racconto di una convivenza forzata a Gerusalemme Est: due abitazioni adiacenti, il cancello e il vialetto d’ingresso in comune, un piccolo giardino e una casa occupata con la forza dai coloni
documentario e testo di Chiara Rodano
Gerusalemme, 30 marzo 2016, Nena News – “Spesso tornano a casa la notte tardi, completamente ubriachi, urlano e mettono la musica altissima, per disturbarci e non farci dormire. A volte si mettono completamente nudi davanti la finestra di fronte la nostra, e ci insultano, soprattutto a noi ragazze. Sono disgustosi e mia sorella piccola si spaventa”. Mona ha un timbro di voce potente, profondo e leggermente roco, che colpisce di fronte ai suoi soli 17 anni.
“A volte girano col viso coperto da un passamontagna nero, che poi altre volte camuffano come se fosse un normale cappello di lana. E sono pure armati, sempre con una pistola in tasca: è il governo che gliene dà il diritto e che li incoraggia pure. Una mattina uno di loro l’ha puntata contro un mio vicino, un bambino di 4 anni che giocava qui fuori: li aveva svegliati coi suoi giochi!”.
“They Took Your House” è il breve racconto di una convivenza forzata all’interno di pochi metri quadrati: due abitazioni adiacenti, l’una la spalla dell’altra, il cancello e il vialetto d’ingresso in comune, un piccolo giardino, un alberello d’ulivo e una casa illegittimamente presa, occupata con la forza e la barbarie tipica dei coloni.
“They Took Your House” è il breve racconto di una famiglia, ma è la storia di tutto il quartiere, Sheikh Jarrah, a Gerusalemme Est, a pochi passi dalla città vecchia. Ed è la storia di un’intera città, che dopo la prima divisione nel 1948, è stata poi “riunificata” in seguito all’occupazione israeliana anche della parte orientale di Gerusalemme, con la guerra del ‘67. “Riunificata” da una legge israeliana (del 1980) non riconosciuta da alcuno Stato, eccetto Israele, e considerata illegittima da tutta la comunità internazionale, compresi gli Stati Uniti e l’Unione Europea.
“Riunificata” sotto quello stesso potere oppressivo che quotidianamente discrimina, impedisce di muoversi, di andare a scuola o a lavorare, che sequestra e demolisce case, ferisce e spesso uccide, sulla base principalmente dell’appartenenza etnica. Riunificata per tutti i palestinesi di Gerusalemme nello sfortunato e sofferto destino della colonizzazione, eppure allo stesso tempo frantumata ogni giorno di più dalle leggi e dalle autorità sioniste.
Da ormai quasi cinquant’anni, infatti, Israele porta avanti politiche e piani di colonizzazione, miranti a disintegrare l’unità territoriale e soprattutto demografica della parte orientale di Gerusalemme. Ciò avviene attraverso la costruzione di sempre maggiori insediamenti ebraici nel cuore di quartieri storici palestinesi, con l’esproprio insistente e la demolizione forzata di appartamenti, case ed interi quartieri. Avviene attraverso il ritiro dei permessi di residenza e dunque la deportazione al di fuori del muro militare che circonda la città ed il divieto (spesso totale) di accedervi. Avviene attraverso la lenta e costante pulizia etnica attuata dal governo sionista contro la popolazione palestinese.
“Era il primo dicembre del 2009, quando hanno preso la nostra casa. Un gruppo di giovani e aggressivi coloni sionisti, sostenuti da tribunale ed esercito israeliano, sono arrivati la mattina con gli zaini grossi e le valige, buttando fuori tutte le nostre cose, distruggendone molte. Per la mia figlia più piccola è stato un trauma vedere il suo armadietto, il suo cuscino e molti dei suoi giochi rotti e ammucchiati nella terra di fronte casa”. Nonostante gli anni numerosi che gli si leggono sul viso, lo sguardo acuto del padre di Mona,Nabil, trasmette una gran forza e determinazione.
Nel 1956 suo padre, rifugiato palestinese scappato da Haifa dopo l’occupazione israeliana del 1948, ottenne dall’UNRWA (Agenzia delle Nazioni Unite dedicata all’assistenza dei rifugiati palestinesi) una piccola casa nel quartiere di Sheikh Jarrah di Gerusalemme Est. È la casa dove Nabil è nato e dove ancora vive sua madre, la nonna di Mona, che ha poi nuovamente accolto il figlio e tutta la sua famiglia quando i coloni gli hanno preso la casa nel 2009.
Quando si sposò, Nabil decise di costruire un nuovo piccolo edificio per la sua nuova famiglia, accanto alla dimora paterna. Tuttavia, con le loro politiche d’apartheid, le autorità israeliane raramente concedono ai palestinesi di Gerusalemme i permessi edilizi, costringendoli dunque a trasferirsi fuori dalla città o a costruire senza permesso. Di conseguenza, sono attualmente oltre 23 mila le case a Gerusalemme Est che hanno ricevuto un ordine di demolizione per la mancanza del permesso edilizio.
In molti altri casi, invece, come in quello della famiglia di Mona e suo padre Nabil, le case non vengono demolite, ma sequestrate e poi assegnate, tramite associazioni sioniste, a coloni israeliani. Il sequestro, invece che la demolizione, è molto frequente soprattutto nella città vecchia di Gerusalemme e nei quartieri che la circondano (come Sheikh Jarrah, Wadi al-Joz, al-Tur e Silwan), in cui Israele sta attuando una pressante politica di colonizzazione e di pulizia etnica. Nena News
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