Iran responsabile per l’attacco contro i marines a Beirut dovrà pagare oltre 2 miliardi di dollari ai familiari delle vittime. Un risarcimento unico, che si scontra con gli sforzi dell’amministrazione Obama di affossare il coinvolgimento saudita per gli attentati dell’11 settembre per tutelare il suo alleato di ferro in Medio Oriente e i suoi interessi
di Giorgia Grifoni
Roma, 23 aprile 2016, Nena News – Gli Stati Uniti contro il terrorismo di Stato. A senso unico. La sentenza è di quelle destinate a creare un precedente bello grosso: l’Iran pagherà oltre 2 miliardi di dollari di risarcimento ai familiari delle vittime degli attacchi che, nel 1983, uccisero tra gli altri 241 marines di stanza a Beirut per l’operazione di “peacekeeping” della Forza Multinazionale in Libano composta da militari americani, francesi e italiani. Quasi mille querelanti riusciranno quindi a mettere le mani sul prezioso risarcimento, ma non grazie a un accordo con la Repubblica islamica: i 2.6 miliardi di dollari verranno infatti prelevati dai conti della Banca Centrale iraniana, congelati dalle sanzioni imposte a Teheran da parte del Congresso degli Stati Uniti, grazie a una legge promulgata ad hoc nel 2012. Giustizia piena sarà fatta per le vittime, quindi, ma alla solita maniera USA.
L’eccezionalità della causa civile condotta contro l’Iran – unico responsabile del massacro in piena guerra civile libanese, con decine di fazioni sponsorizzate da uno Stato estero o da milizie di uno Stato estero – si iscrive nella decennale lotta americana contro il “Grande Satana”. L’attentato al quartier generale dei marines e dei paracadutisti francesi nell’area dell’aeroporto di Beirut del 1983, rivendicato all’epoca da un’oscura formazione chiamata Jihad Islamica, è stato in seguito attribuito a Hezbollah dopo inchieste interne dell’intelligence di Washington. Negli anni, questa stessa ricostruzione si è arricchita di particolari che vanno dalla pianificazione degli attacchi a opera di Imad Mughniyeh comandante dell’ala militare di Hezbollah ucciso a Damasco nel 2008 – al suo reclutamento da parte di agenti iraniani di stanza a Beirut e a Damasco già dalla fine degli anni ’70.
Stando alla sentenza pronunciata nel 2007 dal giudice Royce Lambeth, l’Iran è “legalmente responsabile per aver fornito a Hezbollah il supporto finanziario e logistico che li ha aiutati a svolgere l’attacco”. Per questo, conclude la sentenza, “va punito nella misura massima legalmente possibile”.
Nessun tribunale terzo, se vogliamo “più neutrale”, è stato interpellato per la questione. È invece passato per un tribunale “neutrale” un altro celebre caso inglobato nella definizione di terrorismo di Stato: quello che il 21 dicembre del 1988 fece esplodere il volo 103 della Pan Am Francoforte Detroit, uccidendo 270 persone tra passeggeri e residenti della cittadina scozzese di Lockerbie dove il velivolo si era andato a schiantare. Le indagini, tra smentite e piste alternative – alcune di esse portavano al Fronte popolare per la Liberazione della Palestina, altre all’Iran come “vendetta” per l’aereo di linea iraniano abbattuto dall’incrociatore Usa Vincennes nel Golfo Persico nel 1986 – portarono alla condanna di Abdelbaset el Megrahi, un ufficiale libico di intelligence allora a capo della sicurezza per le Lybian Arab Airlines.
Il processo iniziò nel 1999 in Olanda, e fu tenuto dall’Alta corte di giustizia scozzese anche in presenza dell’imputato, estradato dopo numerose negoziazioni tra Stati Uniti e Libia. Il coinvolgimento dell’allora presidente libico Muammar Gheddafi, sul quale l’intelligence americana puntava fin dall’inizio, non fu ammesso fino al 2003, quando il Colonnello riconobbe la responsabilità dell’attacco e offrì il risarcimento di 2,7 miliardi di dollari in cambio del sollevamento delle sanzioni Onu, di quelle americane e la cancellazione della Libia dalla lista degli Stati terroristi del Dipartimento di Stato Usa. Il risarcimento, quindi, non è stato prelevato, ma negoziato con Gheddafi e da lui autorizzato.
Nel caso degli attacchi di Beirut, non solo uno Stato terzo è stato condannato a pagare il risarcimento più alto che la storia ricordi per “sponsorizzazione del terrorismo” non legalmente provata, ma è stato anche obbligato a pagare con dubbie sottigliezze legislative le compensazioni ai querelanti. Per permettere il risarcimento, c’è stato bisogno di trovare una clausola nel Foreign Sovereignity Immunities Act, datato 1976, che garantisce immunità agli Stati terzi nelle cause intentate dal governo degli Stati Uniti. Tra le clausole, la legge permette ai singoli cittadini di fare causa agli Stati terzi per circostanze ben precise, tra cui spiccano i danni causati da “un atto di tortura, uccisione extragiudiziale, sabotaggio aereo, presa di ostaggi, o la fornitura di sostegno materiale o risorse per un tale atto, se lo Stato estero è designato come stato sponsor del terrorismo”.
Diversamente dal diritto internazionale, però, che stabilisce che “gli Stati non sono immuni dalla giurisdizione dei tribunali stranieri nella misura in cui le loro attività commerciali siano interessate, e le loro proprietà commerciali possono essere riscosse all’atto per soddisfare le sentenze pronunciate contro di loro in relazione alle loro attività commerciali”, la legge del 1976 non permetteva di manovrare i beni iraniani a scopo di risarcimento vittime. Ecco, quindi, che arriva la legge federale del 2012.
Con la norma “Iran Threat Reduction and Syria Human Rights act”, promulgata nel 2012 dal Congresso, si specifica quali e quanti fondi iraniani congelati possano essere destinati al risarcimento delle vittime degli attacchi del 1983 in Libano. La legge federale, come si legge sul New York Times, è precisa, e riguarda solamente un singolo caso ancora in attesa di risarcimento, ovvero il caso Usa contro Iran. Proprio per la specificità della legge, la Banca Centrale iraniana si era appellata insistendo sul fatto che la legge fosse “anticostituzionale, perché concentrata su un singolo caso e costringesse le corti a raggiungere un risultato predeterminato”. Senza successo.
Così, mercoledì scorso, con 6 giudici favorevoli e 2 contrari, la Corte Suprema degli Stati Uniti ha autorizzato il Congresso a destinare gli asset iraniani congelati al pagamento del risarcimento. Fuori dalle maglie politiche della guerra del Congresso all’Iran figlia dell’accordo sul nucleare, il team giudiziario ha dichiarato semplicemente che “la legge del 2012 introduce un nuovo standard che chiarifica che, se l’Iran possiede certi asset, le vittime degli attacchi terroristici sponsorizzati dall’Iran potranno essere risarciti con quegli stessi asset”. Una sola voce fuori dal coro: “Non c’è mai stato niente di simile – ha dichiarato il giudicecapo John G. Roberts Jr. alla legge del 2012 – Con quest’autorizzazione a procedere da parte della corte, d’ora in poi il Congresso potrà scegliere vincitori e perdenti in casi giudiziari particolari”.
E quale sarà, in base a questo precedente, il destino della causa civile per l’attentato terroristico più sanguinoso che gli Stati Uniti abbiano mai subito? Ha scosso le già precarie relazione americano-saudite la notizia di una nuova legge in preparazione al Senato degli Stati Uniti, chiamata “Justice Against Sponsors of Terrorism Act”. Creatura bipartisan dei senatori Charles Schumer e John Cornyn, il disegno di legge – come si legge nel comunicato stampa pubblicato sul sito del Senato Usa promette di “scoraggiare il terrorismo internazionale e fornire l’accesso alla giustizia finanziaria per coloro che hanno sofferto per mano dei terroristi”. Si tratta, in pratica, di modificare la legge del 1976 che impedisce agli Stati stranieri di essere ritenuti responsabili per gli attacchi contro cittadini americani e di autorizzare il prelievo del risarcimento dai beni e gli asset degli stati ritenuti colpevoli di sponsorizzazione del terrorismo che si trovano negli Stati Uniti. Quello che ha fatto la legge del 2012 nei confronti dell’Iran, insomma, ma applicabile a ogni Stato straniero.
Il disegno di legge ha fatto la sua comparsa dopo la costituzione di un movimento per la declassificazione delle “28 pagine”, ovvero di quella parte del rapporto sugli attentati dell’11 Settembre redatto dalla Commissione d’inchiesta apposita tenuto segreto dai vertici USA. Secondo alcuni membri della Commissione, le pagine in questione conterrebbero prove del sostegno e del finanziamento di alcuni alti funzionari sauditi ad alQaeda. Declassificando queste 28 pagine le accuse mosse da buona parte dell’opinione pubblica a Riyadh – trascinata dal senatore democratico Bob Graham potrebbero trovare un fondamento, e con la legge in studio al Senato si consentirebbe ai querelanti dell’11 Settembre di mettere le mani sul denaro – presente negli Stati Uniti degli sponsor degli attentatori.
I sauditi, complice la sentenza nei confronti dell’Iran, hanno capito che aria tira, e hanno già minacciato di vendere tremila miliardi di dollari in beni fermi negli Stati Uniti se la legge dovesse passare: 750 miliardi in buoni del Tesoro Usa – si legge sul quotidiano The Atlantic – più altri investimenti che potrebbero essere congelati da una corte federale statunitense per risarcire le vittime. Ma forse possono dormire sonni tranquilli: l’amministrazione Obama si è già opposta al disegno di legge, e ha minacciato di porre il veto presidenziale. Tutto il contrario di quello che ha fatto durante la causa delle vittime contro l’Iran. In questi giorni di visita di Obama in Arabia Saudita il dossier 11 Settembre ufficialmente non è mai saltato fuori: troppo delicata la questione, troppo prezioso l’alleato in Medio Oriente.
La giustizia per gli attacchi terroristici, come è noto, dipende dalla fortuna che si ha di trovarsi dal lato giusto del mondo. A questo proposito si ricordi il Nicaragua, che ha fatto causa al governo degli Stati Uniti per le decine di migliaia di assassinii effettuati dai contras, i gruppi paramilitari finanziati dalla CIA tra il 1979 e almeno il 1989 nella guerra dell’ex dittatore Somoza, appoggiato dagli Stati Uniti, ai sandinisti appena saliti al governo del paese centroamericano. Una causa è stata intrapresa dal governo sandinista nel 1984 ed è finita alla Corte di Giustizia Internazionale. La sentenza, emessa nel 1986, ha stabilito che gli Stati Uniti avevano sì violato la legge internazionale sostenendo i contras contro il governo del Nicaragua, ma che Washington si sarebbe potuta ritenere responsabile per i crimini delle sue milizie – stupri, torture, uccisioni di circa 57 mila civili – solo se fosse stato dimostrato che gli Usa avevano un effettivo controllo delle loro operazioni sul campo.
A nulla valse la testimonianza di un manuale distribuito dalla Cia alle milizie sue alleate, “Operazioni psicologiche nella guerra alla guerriglia”, che spiegava, tra le altre cose, come razionalizzare l’uccisione di civili e come prendere dei killer professionisti per certe missioni: per la corte internazionale gli Stati Uniti avevano semplicemente “incoraggiato atti contrari ai principi generali della legge umanitaria”. In ogni caso, gli Stati Uniti sostennero che la sentenza della Corte Internazionale non poteva soprassedere la Costituzione americana e, per stare tranquilli, bloccarono la sua esecuzione al Consiglio di Sicurezza, impedendo al Nicaragua di ricevere il risarcimento. La storia insegna che ci sono sempre vittime del terrorismo di serie A e B. A quanto si evince dal dossier 11 Settembre, però, sembra che nemmeno gli sponsor del terrorismo siano tutti uguali. Anche quando le loro vittime sono cittadini americani. Nena News
Giorgia Grifoni è su Twitter: @gitabb
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