La domanda più importante è: i sauditi sono pronti a impegnarsi in una guerra lunga e stancante nel Paese dei Cedri? Riyadh non sembra avere il sostegno necessario né dagli alleati palesi né da quelli occulti
di Basheer Nafi – Middle East Eye
Roma, 13 novembre 2017, Nena News – Il primo ministro libanese Saad Hariri ha sorpreso sia i suoi sostenitori che i suoi avversari quando, il 4 novembre a Riyadh, ha annunciato le sue dimissioni. Non è tuttavia la prima mossa a sorpresa di Hariri.
Lo scorso anno ne compì un’altra modificando le sue posizioni politiche per permettere l’elezione a presidente della Repubblica di Michel Aoun. A quel che si dice, il sostegno di Hariri a Aoun si basava sull’accordo che ne prevedeva la nomina a primo ministro.
Le decisioni di Hariri
La spiegazione di alcune delle decisioni a sorpresa di Hariri è che queste non arrivano da particolari riposizionamenti politici, né dal desiderio di archiviare risultati tattici nella disputa senza fine per il potere e l’influenza nel paese. Piuttosto, sono dovute al fatto che il leader libanese è prigioniero del volere dei suoi alleati regionali e internazionali.
Sicuramente Hariri non è un’eccezione in Libano. Tutte le forze politiche libanesi sono prigioniere dei desideri degli alleati stranieri. Come risultato, la stabilità dello Stato è sempre condizionata.
Prima che Hariri annunciasse le sue dimissioni, non c’erano indicazioni di una decisione simile. Aveva appena incontrato Ali Akbar Velayeti, il consigliere per gli affari esteri della Guida Suprema iraniana. Si dice che l’incontro sia stato amichevole, o comunque normale. Nonostante la difficoltà a guidare un governo di coalizione nazionale in un paese dai tanti gruppi settari, interessi e capricci, Hariri era desideroso di mantenere il necessario livello di coesione tra le varie fazioni del suo governo.
L’affermazione, secondo la quale Hariri avrebbe scoperto un piano per attentare alla sua vita pochi giorni prima e che questa scoperta lo abbia subito spinto a lasciare il paese e annunciare le dimissioni, non appare molto logica.
Se sapeva del tentativo di omicidio – nel quale il leader libanese sunnita ha implicato Hezbollah e gli iraniani – perché ha incontrato Velayeti e gli ha annunciato l’intenzione di andare nella città egiziana di Sharm el Sheikh per partecipare ad una conferenza internazionale giovanile? Al contrario, Hariri è partito subito per la capitale saudita da dove, invece che dal suo ufficio, ha rilasciato un discorso fumoso diretto al popolo libanese con il quale annunciava le dimissioni.
È molto più probabile, invece, che Hariri sia stato convocato dai sauditi la sera del 3 novembre e che sia stato il suo alleato saudita a costringerlo a lasciare. Dunque, cosa significa il passo di Hariri?
Un messaggio ad amici e nemici
Il Libano si trova in mezzo a numerose crisi sovrapposte. Eppure Hariri non ha nascosto, nel suo breve comunicato, che la principale ragione dietro le dimissioni era la crescente influenza di Hezbollah in Libano e il suo dominio sul processo decisionale libanese, da una parte, e la politica espansionista iraniana nel contesto arabo, a partire da Libano e Siria, dall’altra.
In altre parole, Hariri voleva mandare un messaggio attraverso le sue dimissioni ai suoi amici e ai suoi nemici, ovvero che era determinato ad allinearsi con le forze anti-iraniane nella regione. Tuttavia, Hariri non avrebbe compiuto questo passo se non fosse stato assolutamente certo che gli alleati sauditi hanno intenzione di imbarcarsi in un confronto con l’Iran in Libano. Ed è questo il cuore della questione.
Un anno fa, la posizione regionale dell’Arabia Saudita non era il massimo. Questo spiega perché Hariri ha accettato un accordo di condivisione del potere in Libano con Aoun. Da un lato i sauditi aveva completamente perso la speranza che gli Stati Uniti, sotto l’amministrazione Obama, avrebbero giocato un ruolo più attivo nel controbattere all’espansionismo iraniano. Dall’altra era diventato ovvio che la guerra in Yemen aveva fallito nel raggiungimento dei principali obiettivi. Sia Egitto che Pakistan hanno rifiutato di fornire assistenza tangibile agli alleati sauditi.
Oggi sembra che i sauditi siano maggiormente fiduciosi sul ruolo statunitense, specialmente dopo che Washington ha dato il via ad una serie di misure per etichettare Hezbollah organizzazione terroristica. Inoltre, il presidente Usa parla continuamente della sua contrarietà all’accordo sul nucleare con l’Iran e il Congresso ha votato per imporre un altro pacchetto di sanzioni a Teheran.
Oltre a questo, e nonostante le smentite saudite, pare che sia stato raggiungo un accordo tra Saud e Israele contro l’Iran e i suoi alleati nella regione.
Sicuramente incitati dagli americani, i sauditi hanno preso decisioni negli ultimi mesi per costruire legami maggiori con l’Iraq nell’idea che il primo ministro iracheno al-Abadi possa emergere come leader nazionalista e lavorare per respingere l’influenza iraniana sull’Iraq. Segnali simili sono stati mandati anche a Mosca e Damasco, con la promessa che Riyadh si sarebbe preparata ad adottare una politica diversa, vis-à-vis, con il governo siriano una volta che Iran e milizie affiliate siano uscite dalla Siria.
Eppure, niente di tutto ciò – dopo il fallimento dell’Arabia Saudita in Yemen – significherà che Riyadh otterrà risultati migliori in Libano. È difficile immaginare il successo di un’avventura saudita in Libano senza che si presentino certe condizioni.
Una nuova convergenza politica?
Il Libano, ad esempio, assisterà ad una convergenza politica diversa dall’attuale? Le forze maronite, insieme alla maggioranza di druzi e sunniti, si uniranno al campo saudita? E i paesi del Golfo e l’Egitto saranno al fianco dell’Arabia Saudita?
In Yemen gli Emirati Arabi hanno adottato una politica che serve i loro interessi e hanno fatto lo stesso con la crisi siriana. Nonostante abbiamo pubblicamente dichiarato sostegno all’Arabia Saudita, gli Emirati hanno mantenuto rapporti normali con l’Iran. E mentre al-Sisi dall’Egitto rifiutava di prendere parte nella guerra in Yemen, esercitava anche ogni possibile sforzo per mantenere il regime di Assad al potere. Nel frattempo, al-Sisi ha aperto linee di comunicazione con gli iraniani.
Alla fine la questione più importante ha a che fare con quanto i sauditi siano pronti ad impegnarsi in una guerra lunga e stancante in Libano e se siano preparati a sopportare il costo umano e finanziario di tale guerra. Fin dalla metà degli anni Ottanta, l’Iran ha investito decine di miliardi di dollari nel rafforzamento di Hezbollah e nella costruzione delle sue capacità militari e della sua base popolare.
Non importa quanto l’amministrazione Trump sosterrà l’Arabia Saudita, gli americani non sembrano preparati ad una guerra con l’Iran. Il massimo che Washington è intenzionata a fare è supportare i rivali dell’Iran che decideranno di confrontarlo.
Se l’attuale leadership saudita pensa di poter confidare su Israele, quel che è certo è che le opinioni pubbliche arabe e in particolare quella sunnita non appoggeranno una guerra di Israele al Libano, che probabilmente risulterebbe in centinaia se non migliaia di morti e la distruzione delle città e le infrastrutture libanesi. Inoltre una guerra israeliana non aiuterà nel far cadere Hezbollah o nell’erodere la sua influenza e il suo ruolo.
In altre parole, le dimissioni di Hariri potrebbero essere il preludio dello scoppio di un altro confronto tra sauditi e iraniani. Tuttavia, è chiaro che non è stata fatta alcuna valutazione del conflitto e delle sue ripercussioni.
Basheer Nafi è uno storico dell’Islam e del Medio Oriente
Traduzione a cura di Nena News