Pene carcerarie dai due ai sette anni per 13 reporter e impiegati del quotidiano d’opposizione, tra cui il direttore Sabulcu, l’editore Altay, il giornalista investigativo Sik. Prosciolti in tre. Così Ankara si prepara alle elezioni anticipate
della redazione
Roma, 26 aprile 2018, Nena News – “Nessuna condanna potrà impedirci di fare giornalismo. Se necessario andremo in prigione di nuovo ma continueremo a fare giornalismo”. Così ieri Murat Sabuncu, direttore del quotidiano turco di opposizione Cumhuriyet commentava a caldo la durissima sentenza emessa dalla corte nel carcere di Silivri, a Istanbul.
Un processo assurdo aperto contro giornalisti e impiegati del giornale, accusati di terrorismo e di sostegno – in contemporanea secondo la procura – sia al Pkk che al movimento Hizmet dell’imam Gulen, due realtà estremamente distanti tra loro. Ma nel calderone della repressione della stampa pare importare poco.
Il direttore Sabuncu è stato condannato a sette anni e sei mesi di carcere, come il noto giornalista investigativo Ahmet Sik e Orhan Erinc, Akin Atalay, Aydin Engin e Hikmet Cetinkaya. Sik in particolare è accusato di associazione con l’organizzazione di Gulen, sebbene proprio le sue inchieste in passato – e soprattutto il libro “L’esercito dell’imam” – ne abbiano messo in luce la rete all’interno delle istituzioni del paese. Sei anni e sei mesi all’editore Altay – che ieri ha reagito parlando di un paese dove “non c’è più giustizia”, una Turchia dove “domina la paura” – tra i tre e i quattro anni al vignettista Musa Kart e a Onder Celik, Kadri Gursel, Hakan Kara, Emre Iper e Bulent Utku. Prosciolti solo in tre: Bulent Yener, Turhan Gunay e Gunseli Ozaltay.
Ora si attende l’appello, tutti resteranno a piede libero anche Atalay, rilasciato ieri: era l’unico ancora detenuto in via cautelare, in carcere ha trascorso più di 500 giorni. “Come abbiamo sempre detto, non possono intimidire il quotidiano Cumhuriyet – ha detto all’uscita dal tribunale – Continuerà a dire la verità ai suoi lettori. Questo giornale non può essere comprato con i soldi. I nostri colleghi mostreranno come si fa giornalismo”.
“Questo è un ultimatum e una minaccia diretta contro la gente che ha annunciato la propria determinazione a fare giornalismo”, ha detto l’editorialista Gursel, anche lui condannato. Al centro sta proprio la libertà di stampa, da anni calpestata in Turchia, primo paese al mondo per numero di giornalisti detenuti, oltre 170. Un paese dove 200 tra agenzie stampa, emittenti radio e tv, giornali e siti web sono stati chiusi per decreto dal 15 luglio 2016, giorno del tentato golpe e inizio della campagna di epurazione interna.
È così che la Turchia si prepara alle elezioni anticipate, volute dal presidente Erdogan per guadagnare un anno e mezzo nell’applicazione della riforma costituzionale che trasforma la repubblica da parlamentare a presidenziale. Un presidenzialismo assoluto che riconosce al capo dello Stato il potere di nominare e lincenziare ministri, di esercitare potere legislativo, di scegliere i giudici costituzionali, di redigere il bilancio interno, di sciogliere il parlamento, di guidare le forze armate.
Le elezioni si svolgeranno sotto lo stato di emergenza, introdotto quasi due anni fa e mai sospeso, uno status legale che garantisce al governo maggiori poteri. Che si sono tradotti in questi mesi nell’epurazione di migliaia di persone: secondo un recente rapporto della Commissione Europea, dal 15 luglio 2016 oltre 150mila persone sono state fermate, 78mila arrestate, 110mila dipendenti pubblici licenziati.
Intanto, continua in forma separata il processo a Can Dundar, ex direttore di Cumhuriyet, già condannato a cinque anni e oggi in esilio in Europa: insieme al caporedattore Gul era stato accusato di aver diffuso segreti di Stato perché pubblicò le prove video e fotografiche della consegna di armi da parte dei servizi segreti turchi, Mit, a gruppi jihadisti attivi in Siria. Nena News