Ieri prima preghiera nell’ex museo, il presidente in prima fila. I laici incapaci di reagire alle nuove linee rosse che l’Islam politico ha saputo imporre in due decenni al potere. Intanto primo sì al disegno di legge che farà sparire dai social i post critici contro il governo Akp
di Chiara Cruciati – Il Manifesto
Roma, 25 luglio 2020, Nena News – Il giorno del trionfo personale di Recep Tayyip Erdogan non ha incontrato ostacoli: mentre, alle 12.15 ora locale, il presidente prendeva il microfono in mano per recitare la Fatiha, fuori decine di migliaia di turchi circondavano con i loro corpi in preghiera Santa Sofia.
Dalle prime ore del mattino l’ex basilica bizantina ha visto accorrere i fedeli, costringendo le autorità a bloccare gli accessi e a promettere di tenerla aperta ininterrottamente fino a tarda notte, per dare a tutti (o quasi) la possibilità di partecipare alla prima preghiera musulmana dopo 86 anni. Dal 1934 quando il fondatore della Turchia moderna, Mustafa Kemal aveva trasformato l’allora moschea (diventata tale dopo la conquista di Costantinopoli del 1453) in un museo, aperto a tutti, scevro da ogni religione.
All’interno solo 500 persone, tra queste il presidente e qualche ministro, in prima fila, disposte per due ore in preghiera dopo la copertura di alcuni dei mosaici cristiani che, per decisione dell’autorità religiosa Diyanet ora custode di Santa Sofia, saranno coperti da tendaggi per ognuna delle cinque preghiere quotidiane.
Chiuso anche il mausoleo dedicato ad Ataturk: le autorità hanno vietato le celebrazioni del 97esimo anniversario del Trattato di Losanna, quello che definì i confini della moderna Turchia (e con cui si negò al Kurdistan uno Stato) a Istanbul e in tutte le altre 81 province del paese.
Poco dopo la fine della preghiera, cantata dai quattro minareti della neo-moschea, Erdogan ha compiuto l’altro gesto simbolico – e politico – della giornata, la visita alla tomba del sultano Mehmet II, colui che tolse Istanbul ai bizantini: «Questo luogo è tornato a essere quel che era – ha detto il presidente – Ora servirà tutti i fedeli come moschea, di nuovo».
Assenti le opposizioni, decise al boicottaggio. Il sindaco di Istanbul, Ekrem Imamoglu, l’unico finora in grado di scalfire i consensi di Erdogan, è volato ad Ankara: «Non ho ricevuto nessun invito», ha detto il leader locale del Chp, il partito repubblicano. Quello nazionale, Kemal Kılıçdaroglu, ha invece declinato l’invito: non intendeva, ha detto, pregare di fronte alle telecamere.
Ma di fatto con la riconversione di Santa Sofia, Erdogan ha fatto scacco matto: come spiega su Al Monitor Pinar Tremblay, le opposizioni si sono defilate dallo scontro politico, spaventate dall’idea di essere etichettate come anti-musulmane, in un paese che ogni giorno di più scivola lontano dalla sua tradizionale laicità. In due decenni al potere l’Akp di Erdogan e il suo Islam politico hanno plasmato un paese nuovo, definito nuove linee rosse che ora anche le opposizioni laiche temono di oltrepassare: «La paura di offendere la sensibilità musulmana ha paralizzato le opposizioni e dato carta bianca a Erdogan», scrive Tremblay.
Una carta bianca che passa, ad esempio, per l’emendamento che da anni pende come una spada di Damocle sui diritti delle donne e che permetterebbe l’introduzione del «matrimonio riparatore» in caso di stupro. O per il crescente potere – anche sotto forma di budget – di Diyanet che sta passo dopo passo facendo dell’Islam un nuovo strumento di controllo sociale, soprattutto nelle zone periferiche e rurali.
Così Erdogan trasforma la Turchia. E gioca i suoi assi, come solo Santa Sofia può essere, in un periodo di debolezza interna non facilmente arginabile, con il Covid che ha solo aggravato la dura crisi economica iniziata un anno fa.
Ieri, poche ore prima dello show, la commissione giustizia del parlamento ha dato il via libera al voto in aula del disegno di legge che potrebbe vietare Facebook, Twitter e YouTube nel paese a meno che le società non si adeguino alle misure di controllo volute dal governo: il trasferimento della sede legale in Turchia così da poterle rendere responsabili dei contenuti considerati offensivi, pena multe fino a 1,5 milioni di dollari. E quei contenuti sono tanti se si pensa che migliaia di turchi sono stati arrestati per post sui social. Nel solo 2018 sono state condotte 26.115 indagini per «insulti al presidente». Ovvero critiche politiche.