Il primo ministro, in carica da soli 5 mesi, è nell’occhio del ciclone per un presunto caso di conflitto d’interessi. La sua uscita di scena – secondo fonti tunisine, imposta dal presidente della Repubblica Saied – era diventata chiara da quando il partito islamista Ennahdha aveva annunciato che avrebbe ritirato il suo sostegno al governo
della redazione
Roma, 16 luglio 2020, Nena News – Come era prevedibile, ieri il premier tunisino Elyes Fakhfakh ha rassegnato le sue dimissioni dopo che il partito islamista Ennahdha ha ritirato il sostegno al governo. In un comunicato Fakhfakh, in carica come primo ministro dallo scorso 20 febbraio, ha detto che ha presentato le sue dimissioni al presidente Kais Saied “in modo da trovare una via d’uscita alla crisi e impedire peggiori difficoltà al Paese”. Il comunicato dell’ormai ex premier giungeva ieri a distanza di poche ore dalla mozione di sfiducia contro di lui presentata da Ennahdha per un presunto caso di conflitto d’interesse. Lo scorso mese un parlamentare indipendente aveva infatti pubblicato alcuni documenti che dimostravano come il premier avesse azioni nelle compagnie che avevano vinto appalti pubblici dal valore di 15 milioni. La magistratura ha aperto immediatamente una indagine a riguardo e il ministro dell’anti-corruzione ha istituito un comitato di controllo per indagare meglio la questione. Salito sul banco degli imputati, Fakhfakh ha sempre negato qualunque reato, affermando che aveva già venduto le azioni che aveva nelle compagnie. L’ingegnere classe 1972, ex manager di Total ed esponente del partito di centro-sinistra Ettakatol, aveva quindi promesso che si sarebbe ritirato qualora gli inquirenti avessero trovato prove della sua colpevolezza. Ma non c’è stato bisogno di aspettare la conclusione delle indagini: il suo destino aveva già da giorni le ore contate.
La tensione è altissima nel Paese lacerato da una forte crisi economica aggravata dagli effetti della pandemia di Coronavirus. Secondo alcune fonti tunisine, sarebbe stato proprio il capo dello stato Saied a chiedere formalmente a Fakhfakh di fare un passo indietro per il presunto conflitto d’interesse. Nella giornata di ieri Ennahda – insieme al partito Qalb Tunis e altri deputati indipendenti – aveva depositato in parlamento la mozione per sfiduciare il premier e per fare un nuovo nome alla guida del prossimo governo. Mossa che però non ha avuto il successo sperato dato che non ha raggiunto per 4 voti la maggioranza necessaria per essere implementata. Il problema è che allo stato attuale nessuno schieramento politico sembra avere i numeri necessari per governare e pertanto, secondo la Costituzione tunisina, spetta al capo dello Stato di intervenire per evitare un pericoloso vuoto politico in un momento cruciale per il paese.
Da un lato, infatti, c’è la crisi economica scatenata dalla pandemia di Covid-19 e che porterà a una durissima recessione di 6 o 7 punti percentuali del Prodotto interno lordo (in autunno potrebbero esserci 200 mila disoccupati in più) acuendo un disagio socio-economico sta già avendo gravi ripercussioni a livello securitario con lo Stato costretto a schierare l’Esercito nelle regioni meridionali per sedare i disordini. Dall’altro lato, c’è il conflitto libico che destabilizza anche la Tunisia che è oggetto d’ingerenze esterne sempre più manifeste.
Da giorni Ennahda stava esercitando pressioni sul governo di Fakhfakh. Secondo alcuni commentatori gli obiettivi del partito islamista erano almeno tre: avere una maggiore presenza all’interno del governo, ottenendo più posizioni degli attuali nove ministri su 32; ottenere denaro e risarcimenti per le vittime dei regimi di Habib Bourguiba e Zine el Abidine Ben Ali; indebolire il premier Fakhfakh e al tempo stesso rafforzarsi.
Se il primo ministro dimissionario è stato sempre in una posizione di debolezza, non se la passa meglio Ennahda. La formazione ha voluto imporre il negoziato per avere una posizione più forte nelle consultazioni che dovrebbero portare alla scelta di un nuovo capo di governo. Un atteggiamento che, scrivono alcuni media locali, non sarebbe piaciuto al presidente della Repubblica Saied che avrebbe accusato la formazione di Ghannushi di essere una setta e di complottare ai danni del Paese per i suoi interessi. La Tunisia è di fronte ad un impasse politico perché nessuna forza politica ha i numeri per ottenere la maggioranza. Il fronte anti-Ennahda guidato da Abir Moussi, presidente del Partito destouriano libero, ha raccolto 73 firme per avviare la destituzione di Ghannouchi dalla presidenza del parlamento, ma non ha i 109 voti necessari per portare a termine il processo.
In questa situazione sarà determinante il ruolo del capo dello Stato tunisino, in cima alla classifica nelle intenzioni di voto alle elezioni presidenziali della Tunisia, stando a quanto rivela un sondaggio di opinione condotto dall’ufficio di ricerca Sigma Conseil e pubblicato dal quotidiano “Al Maghreb”. L’attuale presidente della Repubblica ha ottenuto il 58,7 per cento delle preferenze degli intervistati. Nettamente distanziata al secondo posto Abir Moussi, del Partito destouriano libero, con il 10 per cento, seguita dal leader del partito Qalb Tounes, ex candidato presidenziale (sconfitto al ballottaggio da Saied) e magnate dei media Nabil Karoui con l’8,4 per cento.
Ma il dato da sottolineare è proprio l’exploit del Partito destouriano libero che, secondo lo stesso sondaggio, vincerebbe le elezioni legislative con il 29 per cento dei voti. Un sostegno crescente che ha un significato politico importante: i destouriani sono infatti i “benalisti”, ovvero coloro che non nascondono affatto nostalgie con il regime di Ben Ali. Un regime che è stato abbattuto con le proteste del 2011 che hanno dato l’inizio alle “rivolte” nel mondo arabo. Un dato che è ancora più inquietante se si pensa che l’esperienza tunisina, rispetto a quella degli altri paesi arabi interessati dalle cosiddette “primavere arabe”, è stata l’unica “esperienza di successo”. Nena News