Ieri sera tre palestinesi sono stati feriti dal fuoco israeliano. Raid nella notte: 28 arrestati. Nella Città Santa dispiegati centinaia di poliziotti per distruggere la casa del responsabile di un attacco perpetrato un anno fa.
della redazione
Roma, 2 dicembre 2015, Nena News – Ieri sera Tel Rumeida, quartiere di Hebron in H2 (zona sotto il controllo militare e civile israeliano), nel cuore di Shuhada Street, è tornata ad essere teatro di nuove violenze. Un’ondata di tensioni che soffoca la città e che la costringe ad un nuovo assedio.
Tre palestinesi sono stati feriti dalle pallottole sparate dall’esercito israeliano. Uno di loro è in gravi condizioni, dopo essere stato centrato all’addome. Un quarto giovane è stato arrestato dopo una serie di perquisizioni e raid nelle case della zona. Secondo l’esercito israeliano è stato aperto il fuoco perché un gruppo di palestinesi ha lanciato una molotov contro una postazione militare.
Così è finita una giornata, quella di ieri, aperta con l’uccisione di due giovani palestinesi in Cisgiordania: una 19enne a Tulkarem e un 16enne nei pressi del blocco di colonie israeliane di Gush Etzion, tra Betlemme e Hebron. Due morti che fanno salire il bilancio di vittime palestinesi dal primo ottobre a 102, 19 quelle israeliane.
Alle morti si aggiungono gli arresti: la campagna di detenzione inaugurata dall’esercito israeliano due mesi fa ha già portato dietro le sbarre migliaia di persone. Questa mattina all’alba in una serie di raid in tutta la Cisgiordania sono stati arrestati 28 palestinesi: tra questi 8 a Beit Ummar (di cui 4 minorenni) e uno a Hebron. Secondo le Nazioni Unite ogni settimana vengono compiuti in media 80 raid, giustificati dalle autorità israeliane con la repressione di “attività illegali” non meglio specificate. Una stretta che l’associazione internazionale Huma Rights Watch ha criticato per le numerose violazioni dei diritti umani compiute da Israele: arresti arbitrari, uso eccessivo della forza contro persone che non hanno collegamenti con le eventuali aggressioni, danneggiamento di proprietà privata, demolizioni di case, coprifuoco.
Tra i target resta la città di Gerusalemme: questa mattina centinaia di soldati e poliziotti israeliani (guarda il video) sono stati dispiegati nel quartiere palestinese di Shuafat, a Gerusalemme Est, per la demolizione della casa di proprietà della famiglia di Ibrahim al-Akari, responsabile di aver ucciso due persone nel novembre 2014 investendole con la sua auto. In un video della tv Al Quds si vede la distruzione dell’abitazione, con la dinamite: un’esplosione che ha scosso l’intero quartiere (guarda il video).
Ad un anno di distanza viene così portata a termine quella che è considerata una violazione grave del diritto internazionale, ovvero una punizione collettiva contro i familiari del responsabile di un attacco. Israele si difende: la demolizione delle case serve come deterrente. La realtà dei fatti racconta un’altra storia: tali misure incrementano le violenze perché aumentano la frustrazione e la rabbia della comunità palestinese, tanto da spingere anche autorevoli rappresentanti delle autorità israeliane a criticarle perché responsabili di escalation di violenze. Nena News