Ieri 3.000 docenti hanno manifestato fuori l’ufficio del premier palestinese Hamdallah a Ramallah. Gli insegnanti chiedono un aumento salariale e denunciano il loro sindacato perché, essendo parte dell’Olp, starebbe agendo contro i loro interessi
di Roberto Prinzi
Roma, 8 marzo 2016, Nena News – Continua la lotta dei professori delle scuole pubbliche in Cisgiordania. Nonostante i numerosi checkpoint posti dall’Autorità palestinesi (Ap), ieri 3.000 persone hanno protestato fuori l’ufficio del premier Rami Hamdallah a Ramallah chiedendo una nuova rappresentanza nelle trattative tra Ap e insegnanti. I docenti, infatti, sostengono che i membri del sindacato della scuola affiliati all’Olp [Organizzazione per la Liberazione della Palestina, ndr] non dovrebbero rappresentare i loro interessi perché la loro presenza “ostacolerebbe” un accordo con il governo palestinese. Secondo molti manifestanti, l’unione degli insegnanti, essendo parte dell’Olp, starebbe provando a sabotare lo sciopero (agendo, quindi, contro i loro interessi) nel tentativo di raggiungere una intesa con il governo palestinese senza aver ottenuto prima il consenso degli insegnanti.
Al momento le due parti restano molto distanti ed è difficile immaginare un compromesso nelle prossime ore. Un incontro di emergenza tra governo e rappresentanti del mondo docenti si era chiuso domenica con un nulla di fatto. Da una parte ci sono i membri del Consiglio palestinese che chiedono ai professori di porre fine immediatamente allo sciopero, dall’altra, invece, gli insegnanti decisi a continuare la loro agitazione finché non verrà implementata l’intesa raggiunta nel 2013 tra il sindacato della scuola e l’Autorità palestinese. L’accordo assicurava promozioni e aumenti salariali agli insegnanti così come l’accesso gratuito alle università pubbliche da parte dei figli dei docenti.
Lo stipendio medio di un professore palestinese è intorno ai 2.800 shekel (circa 600 euro), una retribuzione misera di fronte al costo della vita cresciuto vertiginosamente in Cisgiordania in questi ultimi anni, soprattutto a Ramallah e Betlemme. Il governo palestinese, che già fa i conti con un forte deficit, ha proposto un aumento minimo delle retribuzioni, appena il 2,5 per cento. L’offerta, però, è stata subito respinta al mittente.
Di fronte alle proteste quasi quotidiane del corpo docenti, il governo prova a ostentare sicurezza e calma. “Gli insegnanti palestinesi – ha detto ieri il premier Hamdallah – meritano la nostra ammirazione e stima. Ci stiamo impegnando a trovare una soluzione giusta affinché i nostri studenti possano tornare in classe”. Commentando la manifestazione, il primo ministro ha poi usato toni concilianti: “le persone hanno il diritto di esprimere la loro opinione perché questo fa parte del processo democratico”. Tuttavia, Hamdallah non spiegato perché, ancora una volta, l’Ap ha provato a ostacolare con controlli capillari ai check point coloro che volevano prendere parte allo sciopero.
Non una novità, del resto. Da un mese, infatti, l’Anp usa il pugno di ferro contro lo sciopero della scuola in Cisgiordania. Ha addirittura arrestato decine di insegnanti rilasciandoli solo dopo averli interrogati. A febbraio centinaia di uomini delle forze di sicurezza dell’Anp avevano fatto di tutto per impedire una manifestazione indetta dai docenti a Ramallah sempre davanti alla sede del governo del premier Hamdallah. Anche allora l’Autorità palestinese aveva provato a “chiudere” gli ingressi alla città – proprio come aveva fatto nelle scorse settimane l’esercito israeliano – predisponendo controlli e posti di blocco. Ciononostante, quel giorno (23 febbraio) a Ramallah riuscivano lo stesso a scendere in piazza almeno 20mila insegnanti, in quella che è stata la manifestazione più partecipata contro il governo palestinese.
Agli ostacoli dei check point, si sono poi aggiunte le minacce da parte dell’Ap nei confronti dei professori riottosi: l’Autorità palestinese ha infatti avvisato che avvierà azioni legali contro gli insegnanti che non ritorneranno subito a lavoro. Il capo del sindacato insegnanti, Ahmed Suheil, si è spinto oltre e ha detto che l’intero sciopero non è altro che un “complotto” di Hamas per prendere il controllo della Cisgiordania. In un comunicato rilasciato a inizio mese, il braccio armato di Fatah (il partito di governo) aveva invece sostenuto che gli insegnanti sono “agenti d’Israele il cui scopo è quello di creare instabilità per rovesciare l’unità dell’esecutivo”. Di fronte a quest’ultima tesi, risulta difficile stabilire se più fantasiosa la presunta identità dei docenti o il termine unione associato al governo palestinese.
Sebbene queste dichiarazioni appaiano del tutto esagerate, è vero tuttavia come questo sciopero, nato su questioni salariali, si stia trasformando sempre di più in una protesta politica contro il governo dell’Anp considerato da molti palestinesi corrotto e inutile se non addirittura funzionale all’occupazione militare israeliana. In questo mese di agitazione del mondo scuola non sono mancati poi momenti inquietanti, spie, secondo alcuni commentatori locali, di una profonda spaccatura all’interno della società palestinese. La scorsa settimana un insegnante di Hebron solidale con la lotta dei docenti è stato attaccato con dello spray al peperoncino. Giovedì, invece, alcuni colpi di arma da fuoco sono stati sparati contro le case di due insegnanti: uno contrario alle proteste, l’altro favorevole. Nena News
Roberto Prinzi è su Twitter @Robbamir