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Le stime parlano di 135.000 rifugiati.  In Tanzania arrivano ogni settimana circa 2.500 civili dal vicino Burundi. Solo negli ultimi due mesi gli ingressi hanno sfiorato i 79.000. Scappano dallo sterminio.

foto UNHCR

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di Federica Iezzi

Kigoma (Tanzania), 31 luglio 2015, Nena News “Quando ho sentito che avevano iniziato a uccidere la gente, ho deciso di lasciare Mwaro” ci dice Dievin, un giovane che oggi passeggia scalzo sull’arsa terra del campo di Nyarugusu, nella provincia occidentale di Kigoma, in Tanzania. Si riferisce alla Imbonerakure, l’ala giovanile del Consiglio Nazionale per la Difesa della Democrazia-Forze per la Difesa della Democrazia, partito al potere in Burundi, con il riconfermato Presidente Pierre Nkurunziza.

Secondo i dati dell’UNHCR almeno 1.200 minorenni sono stati registrati nel campo come bambini non accompagnati o separati dai genitori. Le stime parlano di 135.000 rifugiati burundesi nel campo. Solo negli ultimi due mesi gli ingressi hanno sfiorato i 79.000. In Tanzania arrivano ogni settimana circa 2.500 civili dal vicino Burundi.

Insieme a Dievin, prima di arrivare in Tanzania, altri 970 ragazzini hanno stazionato per mesi nel Mahama main refugee camp, nel distretto di Kirehe, nel Rwanda orientale. Alla fine di una polverosa strada, sparse in tutta la valle sottostante, centinaia di tende bianche danno forma al campo di Nyarugusu. E’ quello che i 135.000 rifugiati burundesi chiamano ‘casa per ora’.

Operatori del World Food Programme monitorizzano i casi pediatrici di malnutrizione. Saliti ad almeno 800. Mais, soia e latte ad alto potere nutrizionale sono la soluzione. I 10 litri di acqua previsti al giorno per ogni persona, sono drasticamente diminuiti, con il sovraffollamento nel campo. “Il sovraffollamento rallenta gli aiuti. Il campo di Nyarugusu è stato congegnato per ospitare 50.000 persone”, riferisce un funzionario dell’UNHCR.

Guelda, una diciassettenne rifugiata, ci dice “Passo anche 12 ore in fila per riempire la mia tanica di plastica con acqua potabile”. Ogni giorno, dalle prime ore dell’alba, donne e bambine burundesi aspettano, pazienti e sotto un sole rovente, l’arrivo delle cisterne di acqua nel campo. Quella che rimane nei serbatoi è calda. La fonte di acqua più vicina al campo è a 47 chilometri di distanza. E’ consentito riempire soltanto un contenitore di plastica a persona. “Tutti gli altri lavori, come cucinare e pulire, dipendono dall’acqua”, continua Guelda.

foto UNHCR

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Liévin ha 13 anni e ci racconta delle violenze subite. “Gli Imbonerakure picchiavano i bambini più grandi delle famiglie. Mia nonna mi ha dato 2000 franchi burundesi e mi ha detto di scappare. Era notte”. Con poco più di un dollaro Liévin è arrivato, su un vecchio autobus azzurro, a Nyarugusu. Non è stato trattenuto alla frontiera. “Lì vengono fermati i grandi gruppi, io ero solo”, continua.

“Ci hanno trasportato da Kagunga a Manyovu, fino al campo di Nyarugusu. Non ho mai vissuto in un campo profughi. Ho perso il mio stipendio di 200 dollari”, queste le parole di Elise, 35 anni e madre di tre figli. Le tende, nel corso dei giorni, si trasformano in qualcosa che assomiglia ad una casa. Continua “Ho ricevuto solo un chilo di mais secco e mezzo chilo di fagioli questa settimana. L’acqua spesso manca per due giorni consecutivi”. Ogni rifugiato secondo i dati dell’UNHCR dovrebbe ricevere almeno 13 chili di granturco, 3 chili di fagioli, mezzo litro di olio e sale ogni mese. “Ma non è sempre così”, ci confessa Elise.

Daniel è un maestro dello staff della Croce Rossa Internazionale, è cresciuto a Dar es Salaam “Mi alzavo alle cinque del mattino per venire a spazzare la tenda dove facevamo scuola. Iniziavo a insegnare alle otto. Trovavo i bambini ad aspettarmi fuori, con in mano matite colorate e fogli di carta”.

foto UNHCR

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Lezioni nella tenda-scuola del campo di Nyarugusu sospese da quando gli arrivi sono fuori controllo. I bambini possono frequentare le scuole primarie, ma non c’è la scuola secondaria. “Studiavo lingue e scienze umane a Gitega. Un giorno i ragazzi dell’Imbonerakure arrivano nella mia città e entrano nella mia scuola. Lavagne e banchi rotti. Quaderni strappati. Con mio fratello abbiamo attraversato il fiume su una zattera improvvisata. Di sera. Perchè gli Imbonerakure usavano lo stesso fiume per contrabbandare persone”, ci raccontano Mugisha e Irakoze.

Vicino alla scuola, in una tenda riservata ai malati, un’infermiera dell’United Nations Population Fund, aiuta Hikima a partorire. Per ora alcuna vaccinazione dopo il parto, né per la madre né per il bambino. Secondo i dati dell’UNICEF, 25 siti di vaccinazione sono stati predisposti a Nyarugusu. Più di 100.000 bambini, oltre l’anno di vita, sono stati vaccinati contro colera, morbillo e poliomielite. Hikima ci racconta “Pensavo di avere il mio bambino a Kagunga. Pensavo di non riuscire ad arrivare a Nyarugusu. Pensavo sarebbe morto. Sono morti tanti bambini lì”. Nena News

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