È emergenza umanitaria in Tanzania, dove sono arrivati oltre 64mila profughi. Violenze scatenate dalla decisione del presidente di candidarsi per un terzo mandato. Ieri tre morti nella capitale. Si vota il 5 giugno
di Sonia Grieco
Roma, 23 maggio 2015, Nena News - Nel giro di un mese il Burundi è passato dalle proteste di piazza contro il presidente Pierre Nkurunziza a un tentativo di golpe militare, fino all’emergenza umanitaria nella vicina Tanzania, dove si sono rifugiate decine di migliaia di burundesi.
Nel campo profughi di Nyarugusu sono arrivate 35mila persone e già ci vivono 65mila congolesi scappati durate la guerra civile, alla fine degli anni Novanta. Troppe persone e pochi spazio e servizi, ha spiegato il portavoce del ministero tanzaniano dell’Interno, Isaac Nantanga. “Abbiamo iniziato a costruire un secondo campo vicino a quello esistente”, ha detto ad Al Jazeera, assicurando che Dodoma non chiuderà le porte ai profughi e che si sta organizzando con le agenzie delle Nazioni Unite per garantirne l’accoglienza. Le operazioni di accoglienza si sono trasformate in operazioni di emergenza.
La Tanzania è il Paese che sta accogliendo più burundesi, circa 64mila, mentre 27mila sono fuggiti in Rwanda e circa settemila nella Repubblica democratica del Congo. Intanto, l’OMS (Organizzazione mondiale della Sanità) ha lanciato l’allarme colera, dopo avere rilevato la presenza della malattia tra i profughi.
La crisi in Burundi comincia ad avere ripercussioni anche sugli Stati vicini, verso cui fuggono i burundesi nel timore che il Paese precipiti nel caos. È ancora vivo il ricordo dei massacri e dell’odio etnico che hanno devastato la nazione negli anni Novanta. Chi scappa racconta di spari per le strade, non soltanto della capitale Bujumbura, dove si sono concentrate sinora le manifestazioni, e di uomini armati che bussano alla porta per reclutare miliziani.
Le proteste continuano e si fanno sempre più violente, seguite da decine di arresti. A scatenarle è stata la decisione di Nkurunziza, in carica dal 2005, di imporre la sua terza candidatura alle prossime presidenziali, nonostante il limite massimo sancito dalla Costituzione sia di due mandati. Ieri le manifestazioni a Bujumbura sono finite in scontri con la polizia e tre persone sono morte nell’esplosione di due granate lanciate da ignoti.
Nkurunziza, però, tira dritto verso il voto che, su pressione del Sud Africa, ha spostato dal 26 maggio al 5 giugno. Non tanto tempo per riportare il Paese alla calma o per aprire un dialogo che non sembra, però, nell’agenda del presidente. La sua terza candidatura è stata legittimata da una controversa pronuncia della Corte costituzionale, all’inizio del mese, che ha esacerbato la situazione. Una decisione su cui si stagliano le ombre della corruzione e del ricatto: alcuni giudici sarebbero stati minacciati, persino di morte, e sono fuggiti all’estero, dove hanno denunciato pressioni da parte dell’entourage del presidente.
Ne è seguito un tentativo di golpe da parte di alcuni ufficiali delle Forze armate, ma il putsch è fallito in poche ore e questo ha probabilmente dato ancora più vigore a Nkurunziza. Il capo di Stato è apparso di recente in tv per fare appello “all’unità nazionale”, facendo leva sul rischio di un ritorno alle violenze e alle divisioni che potrebbero far rimpiombare il Burundi in quel bagno di sangue che è stata la guerra civile conclusasi nel 2005. Nena News