All’alba due caccia bombardano la base T4 a Homs, Francia e Usa negano, la Russia accusa Israele. A Ghouta est Jaysh al-Islam accetta l’evacuazione
della redazione
Roma, 9 aprile 2018, Nena News – La Francia nega, gli Stati Uniti anche. La Russia accusa Israele. Una mattina ad alta tensione quella di oggi: in Siria un raid aereo ha colpito all’alba la base militare T-4, nel distretto di Homs, e ha ucciso almeno 14 soldati. A un anno esatto dall’attacco lanciato dall’amministrazione Trump alla base di Shayrat – 59 missili Tomahawk uccisero decine di soldati il 7 aprile 2017 – un evento praticamente identico segue un raid aereo governativo su Douma, a Ghouta est, secondo la comunità internazionale compiuto con gas chimici.
Il presidente statunitense Trump e il francese Macron minacciano da tempo Damasco di intervento nel caso di uso di armi chimiche: “Molti morti, tra cui donne e bambini, in un attacco chimico folle in Siria. L’area dell’atrocità è chiusa e circondata dall’esercito siriano, rendendola inaccessibile al mondo fuori. Il presidente Putin, la Russia e l’Iran sono responsabili dell’appoggio all’animale Assad. Un grande prezzo da pagare”, scriveva ieri su Twitter Trump. Aveva poi discusso con Macron la situazione e annunciato di voler coordinare “una forte e comune risposta”.
E, dopo la denuncia di ieri delle opposizioni ancora presenti nel sobborgo della capitale che hanno parlato di almeno 70 morti per i gas, stamattina è giunto l’attacco. Il Pentagono ha subito negato ogni responsabilità, seguito a ruota dall’esercito francese. Interviene Mosca che accusa Israele: i due jet F15 di Tel Aviv sarebbe entrati passando per il Libano, dice, riportando le testimonianze di residenti del confine nord-orientale tra Libano e Siria. Dei missili lanciati sulla base la difesa siriana ne ha abbattuti otto, mentre fonti interne all’amministrazione Usa dicono di non sapere neppure chi degli alleati ha mandato i caccia.
Sullo sfondo sta l’assedio di Ghouta est, ancora in essere. Dopo gli accordi di evacuazione tra il governo e due gruppi di opposizione islamisti, la milizia salafita Ahrar al-Sham e l’unità islamista dell’Esercito libero siriano Faylaq ar-Rahman, e la conseguente uscita di 47mila persone tra miliziani e loro familiari, lo scorso fine settimana era collassato il negoziato mediato dalla Russia con la più numerosa milizia presente. Jaysh al-Islam, formazione salafita che gode dei finanziamenti sauditi, non intendeva uscire da Douma, la principale città della Ghouta orientale ma chiedeva di restare come forza di polizia non armata. Per il governo la colpa era dei miliziani che non rilasciavano i prigionieri detenuti. Da cui il fallimento del dialogo e la ripresa degli scontri dopo 10 giorni di tregua.
Ieri, però, la situazione si è capovolta di nuovo: alcuni prigionieri sono stati perà rilasciati, fa sapere l’agenzia siriana Sana, e l’accordo è stato aggiunto. Ottomila miliziani di Jaysh al-Islam e 40mila loro familiari usciranno su garanzia russa, diretti verso nord, entro 48 ore. I primi 100 autobus avrebbero già raggiunto Douma.
Tra venerdì e sabato oltre 50 persone erano state uccise da raid governativi e missili jihadisti fuori dal sobborgo. E ieri un nuovo raid aereo che le opposizioni dicono essere stato condotto con i gas: 70 vittime. Torna così la questione delle armi chimiche che accompagna da anni la guerra siriana: nel 2013 per sventare l’intervento militare di Obama, Assad accettò di smantellare l’arsenale chimico, procedure seguite e monitorate dalla comunità internazionale. Ma da allora il fronte anti-Assad insiste sull’utilizzo di gas da parte di Damasco, che nega. Questione dirimente che fa sorgere dubbi sull’effettiva convenienza che Assad avrebbe nell’usare certe armi, consapevole delle reazioni che sprigiona fuori confine.
Resta la guerra che non cessa. Né a Ghouta dove restano intrappolate ancora centinaia di migliaia di persone, dopo la fuga di almeno 150mila civili, né a nord dove è la Turchia che procede spedita nello sfollamento del cantone di Afrin e la sostituzione dei residenti con miliziani islamisti – in arrivo proprio da Ghouta – e rifugiati siriani. Nena News
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