Il summit nella città svizzera sarà preceduto da un incontro preliminare domani e dopodomani ad Astana (Kazakhstan). Incerta la presenza dei “ribelli” siriani. Human Rights Watch, intanto, accusa Damasco: “Ha compiuto attacchi con bombe al cloro”. Un filmato russo mostra nuove demolizioni dell’Is nel sito storico di Palmira
della redazione
Roma, 14 febbraio 2017, Nena News – Il nuovo round di negoziati sulla Siria avrà luogo a Ginevra il prossimo 23 febbraio. Ad annunciarlo con soddisfazione è stato ieri l’Onu: “Possiamo confermare che le lettere [d’invito] sono state spedite oggi [alle parti del conflitto] e che le consultazioni stanno continuando” si legge in un suo comunicato stampa. Secondo quanto riferisce il Palazzo di Vetro, le delegazioni del governo siriano e dell’opposizione giungeranno nella città svizzera già il 20 febbraio per avere delle consultazioni preliminari con l’inviato spaciale Onu per la Siria Staffan de Mistura.
L’ottimismo delle Nazioni Unite appare un po’ fuori luogo soprattutto perché i “ribelli” siriani continuano ad esprimere dubbi circa la loro presenza al vertice svizzero. La colpa, accusano, è di Mosca che non è riuscita a compiere nelle ultime settimane “passi tangibili” per l’implementazione del cessate-il-fuoco raggiunto lo scorso dicembre, per l’accesso degli aiuti umanitari e il rilascio dei prigionieri. Tre punti chiave per la variegata opposizione siriana il cui rispetto, afferma, era stato concordato lo scorso mese durante il primo meeting di Astana (Kazakhstan).
Alcuni gruppi potrebbero recarsi a Ginevra, ha affermato ad al-Jazeera un ufficiale ribelle che ha preferito restare anonimo, ma solo se si saranno compiuti progressi nei prossimi due giorni. Il riferimento è al summit preliminare previsto il 15 e il 16 febbraio di nuovo nella capitale kazakha che sarà mediato da Russia, Iran e Turchia. Ma anche qui non è chiaro ancora quale gruppo dell’opposizione parteciperà: ieri i salafiti di Ahrar al-Sham (sostenuti da Ankara) e l’Alto Comitato per i negoziati (Hnc, organismo vicino ai sauditi) avevano confermato la loro presenza.
Ma a frenare gli entusiasmi ci ha pensato sempre su al-Jazeera l’ufficiale ribelle Mohammed al-Aboud: “le fazioni dell’opposizione non ci saranno perché i russi non rispettano quanto hanno concordato durante e dopo Astana”. Al di là delle eventuali responsabilità russe o del governo siriano, le dichiarazioni contraddittorie delle ultime ore dei rappresentanti dell’opposizione mostrano ancora una volta come i “ribelli” siano un agglomerato piuttosto confuso di gruppi (più o meno religiosi) che rispondono ad agende politiche straniere differenti. Un ostacolo in più di non piccolo conto al raggiungimento della pace in Siria
A convincerli non sono bastate le aperture (per la verità timide) giunte ieri dal governo siriano circa un possibile scambio di prigionieri. E di sicuro non avranno giovato al processo di riconciliazione tra le parti le intromissioni di Ankara che ieri, per bocca del presidente Erdogan, ha ribadito la necessità della creazione di una “zona di sicurezza” nel nord della Siria in cui (ufficialmente) sistemare i rifugiati siriani.
“Un’area – ha precisato il leader turco – di almeno 4.000-5.000 chilometri quadrati, libera dal terrorismo” dove sarà imposta una “no-fly zone”. La sua proposta – vista favorevolmente dai Paesi che di più stanno pagando la crisi dei rifugiati siriani (Libano, Giordania, Turchia) e di recente dal presidente Usa Trump – incontra molte resistenze. A partire dall’Onu che ha già espresso la sua contrarietà a tale iniziativa. “Non perdiamo tempo a progettare zone di sicurezza che non saranno mai create perché non saranno sicure per le persone che ci dovrebbero ritornare – ha ammonito l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati Filippo Grandi – concentriamoci su come realizzare la pace cosicché tutto diventi più sicuro. Su questo dovremmo investire”.
Ma a pesare sui futuri negoziati sono anche le nuove gravi accuse mosse contro il regime siriano dalle ong internazionali. Se la scorsa settimana Damasco era stata denunciata da Amnesty International per le (presunte) uccisioni di 13.000 detenuti, ieri è stato il turno della statunitense Human Rights Watch (HRW) ad accusare le truppe di Bashar al-Asad di aver compiuto attacchi chimici nelle aree di Aleppo controllate dall’opposizione.
L’organizzazione umanitaria, infatti, sostiene di aver raccolto diverse prove che mostrerebbero come gli elicotteri governativi abbiano sganciato in almeno otto occasioni tra il 17 novembre e il 13 dicembre (durante quindi le fasi finali della battaglia per la conquista della città) bombe al cloro nelle aree residenziali “ribelli”. Quartieri in cui, sottolinea Human Rights Watch, i lealisti provavano ad avanzare. Secondo il vice direttore delle emergenze di HRW Ole Solvang, gli attacchi – “coordinati all’interno della più complessiva strategia militare per riprendere Aleppo e non frutto di pochi elementi isolati” –, avrebbero ucciso 9 persone (di cui 4 bambini) e ne avrebbero ferito 220.
L’ong ha quindi esortato il Consiglio di Sicurezza dell’Onu a imporre sanzioni contro i vertici del governo siriano a cui ha chiesto di smettere di utilizzare le armi chimiche e di cooperare piuttosto con il “Meccanismo investigativo congiunto” delle Nazioni Unite.
Le accuse di Human Rights Watch giungono nelle stesse ore in cui le forze armate siriane provano ad avanzare verso l’antica città di Palmira ripresa a dicembre dai jihadisti dell’autoproclamato Stato Islamico(Is). In una nota, il ministro della difesa russo ha riferito che i soldati siriani sono ormai a circa 20 chilometri dalla città patrimonio dell’Unesco e che l’aviazione di Mosca sta fornendo copertura aerea all’offensiva di Damasco. Ieri i russi hanno anche rilasciato un video che mostrerebbe come i miliziani dell’Is abbiano gravemente danneggiato la facciata del teatro romano e il Tetrapilo del sito storico della città. Nel filmato, ha evidenziato il ministero della difesa, si possono vedere anche movimenti continui di camion: ciò lascerebbe presagire nuove imminenti demolizioni. Nena News