Gli ultimi islamisti in corso di evacuazione da Ghouta est vengono trasferiti nel nord del paese, in zone strategiche per l’operazione della Turchia, aprendo a nuovi possibili conflitti
di Chiara Cruciati – Il Manifesto
Roma, 3 aprile 2018, Nena News – Ieri otto autobus con a bordo 448 persone, tra miliziani del gruppo islamista di opposizione Jaysh al-Islam e loro familiari, hanno lasciato Ghouta est (sobborgo di Damasco dal 2013 in mano al variegato fronte anti-Assad) diretti verso il nord della Siria. L’ultimo gruppo presente ha accettato l’evacuazione e Douma, principale città della Ghouta orientale e tra le prime roccaforti dell’opposizione in Siria, potrebbe tornare a breve in mano al governo. I bus partiti ieri sono i primi, ne seguiranno altri.
Si avvicina alla fine il doppio assedio subito da 400mila civili, letteralmente ridotti alla fame dalle truppe governative fuori e i miliziani dentro. E finisce l’ampia campagna militare lanciata il 18 febbraio da Damasco, raid aerei governativi e missili islamisti che hanno ucciso almeno 1.600 persone.
Le operazioni di trasferimento delle milizie islamiste in Siria non sono però da leggere come la mera «soluzione» dell’assedio di Ghouta est. In corso ci sono movimenti in grado di definire le future crisi nel paese, da un punto di vista militare e politico.
Perché gli islamisti in uscita dal sobborgo damasceno vengono distribuiti in zone strategiche: non più solo Idlib ma anche le aree curde a Rojava oggi in mano alla Turchia. In particolare Jaysh al-Islam – difficilmente ricollocabile nella roccaforte di al-Nusra, Idlib, a causa delle faide interne al fronte islamista di opposizione – sono diretti a Jarabulus e al-Bab, due cittadine dell’estremo nord siriano, via di transito per anni dei rifugiati diretti in Turchia e dei miliziani vicini ad Ankara in ingresso in Siria.
La loro posizione è strategica e funzionale ai piani turchi di invasione di Rojava e di distruzione del confederalismo democratico: Jarabulus, a poche centinaia di metri dal confine turco, sulla riva ovest dell’Eufrate, si trova a metà strada tra Manbij e Kobane; al-Bab, poco sotto, è lungo la direttrice tra Afrin e Manbij.
Tenendo conto delle denunce dell’Amministrazione autonoma di Afrin – secondo cui nella città depopolata dei suoi abitanti sono stati già spostati migliaia dei 45mila islamisti e dei loro familiari provenienti da Ghouta – il cerchio si chiude: la Turchia, sponsor dei gruppi radicali presenti tanto nella Ghouta quanto a Idlib, sta compiendo una sapiente operazione «demografica». Via i curdi, dentro gli islamisti necessari a vincere definitivamente le unità di difesa popolari Ypg/Ypj e a dirigersi verso la frontiera con l’Iraq a est, creando de facto la zona cuscinetto che i turchi chiedono da anni. Si aggiungeranno alle migliaia di uomini dell’Esercito libero siriano già utilizzati contro il cantone curdo di Afrin.
L’accordo tra Damasco e Jaysh al-Islam (che la milizia ancora non ha ammesso, parlando solo di casi umanitari in uscita) è stato negoziato da Mosca, ma è fantascienza pensare che la Turchia non sia stata consultata. Non a caso domani Erdogan ospiterà il presidente russo Putin e l’iraniano Rouhani per discutere di Siria.
Chiara Cruciati è su Twitter: @ChiaraCruciati