Il Consiglio nazionale rifiuta di partecipare ai colloqui di Mosca 2, dopo le aperture di qualche settimana fa all’eventualità che Assad sia parte della transizione. Cambia anche la strategia dell’asse sunnita: Riyadh e Doha unite per denunciare all’Onu la presenza di Hezbollah nel conflitto siriano. E Human Rights Watch denuncia: “Ribelli moderati attaccano con la stessa violenza di Isis e regime”
della redazione
Roma, 23 marzo 2015, Nena News - Al tavolo del negoziato sulla Siria previsto il prossimo sei aprile a Mosca l’opposizione non ci sarà. Lo ha confermato sabato Anas el-Abdo, portavoce del Consiglio Nazionale siriano, organo politico della cosiddetta opposizione moderata in esilio in Turchia riconosciuta e sostenuta dalla quasi totalità della Comunità internazionale. Dopo aver discusso dell’eventualità di presenziare i colloqui, i membri del Consiglio hanno decretato che “non vi è alcun motivo di partecipare alla riunione di Mosca, soprattutto quando vediamo i tentativi da parte degli alleati del regime, compresi la Russia e l’Iran, di porre di nuovo al centro della scena di Assad”.
Eppure, tutto faceva sperare che i colloqui sponsorizzati dalla Russia, chiamati “Mosca 2″, potessero far sedere allo stesso tavolo le due parti del conflitto siriano. L’opposizione, che aveva rifiutato di partecipare al primo tavolo organizzato lo scorso gennaio nella capitale russa, un mese fa aveva per la prima volta ammesso che la caduta di Assad non era una precondizione al negoziato, smentendo un mantra ripetuto ormai da quattro anni. “Insistiamo – aveva detto il presidente della Coalizione Khaled Khoja – nell’obiettivo di far cadere Assad e i servizi di sicurezza. Ma non è necessario avere queste condizioni all’inizio del processo, sarà necessario alla fine del processo, con un nuovo regime e una nuova Siria”.
Alle dichiarazioni di Khoja era seguito l’allineamento degli Stati Uniti: prima il capo della Cia John Brennan aveva profetizzato che una Siria senza Assad avrebbe decretato l’invasione totale dell’Isis. Poi la Casa Bianca, per bocca del suo segretario di Stato John Kerry, una settimana fa aveva aperto per la prima volta al presidente siriano: Assad, aveva dichiarato Kerry alla CBS, deve essere parte della transizione. Ma ora l’opposizione siriana sembra rimangiarsi tutto, rifiutando qualsiasi transizione politica “che includa Assad”.
E nonostante la Coalizione nazionale consideri le ultime vicende diplomatiche “un successo”, perché indicherebbe che un alleato-chiave di Assad come la Russia ha “finalmente riconosciuto l’opposizione”, fa sapere che il boicottaggio di Mosca 2 si rende necessario per “la mancanza di un ordine del giorno chiaro, l’assenza di un chiaro punto di riferimento per tutto ciò che potrebbe essere deciso e il rifiuto della coalizione di impegnarsi in un dialogo con il regime, se questo non è parte di un processo di transizione “.
La verità è che è l’intero asse sunnita nella regione ad aver improvvisamente cambiato rotta. Se gli sviluppi delle ultime due settimane facevano pensare a un rafforzamento dell’asse sciita grazie soprattutto ai successi delle milizie di Teheran a Tikrit al fianco dell’esercito regolare contro l’Isis, che avevano portato persino l’Arabia saudita ad aprire ai ribelli sciiti Houthi in Yemen, ora la situazione appare capovolta: i contatti sarebbero stati interrotti, i ribelli avrebbero bombardato la residenza del presidente defenestrato Hadi ad Aden e venerdì scorso sarebbero stati ripagati con due kamikaze mandati dall’Isis a Sanaa che hanno ucciso quasi 150 fedeli sciiti in due moschee. Inoltre, Riyadh e Doha si sono riscoperti amici per la pelle, dopo la guerra fredda dello scorso anno, e starebbero lavorando insieme per denunciare il coinvolgimento di Hezbollah nel conflitto siriano e far prendere provvedimenti in merito alle Nazioni Unite.
Intanto, nel rifiuto più totale dell’opposizione persino a tentare il dialogo, in Siria si continua a morire. Almeno 25 persone sono rimaste uccise e 80 ferite sabato notte nella città nordorientale di Hasake, quando un’autobomba è esplosa nel mezzo delle celebrazioni del Nowrooz (capodanno curdo), una strage – secondo fonti locali – firmata Isis. E sebbene il mondo si indigni solo per i massacri perpetrati dal Califfato e dal regime siriano, l’opposizione amata e armata dall’Occidente non sembra essere poi così “moderata”: un rapporto di Human Rights Watch accusa i ribelli di agire “mimando la crudeltà del regime siriano e dei suoi alleati”, portando avanti “attacchi indiscriminati” che hanno provocato “numerose vittime tra la popolazione civile” e violato “le leggi della guerra”.
L’organizzazione non governativa ha monitorato gli attacchi avvenuti intorno a Homs e Damasco dal gennaio 2012 all’aprile 2014. Alcuni attacchi, come spiega HRW, sono stati rivendicati da al-Nusra e dallo Stato islamico, ma “l’Esercito siriano libero – come si legge nel rapporto – e altri gruppi ribelli sembrano aver condotto attacchi indiscriminati e mortali nelle aree popolate dai civili, soprattutto in quelle dove vivono cristiani, alawiti, sciiti, drusi”. Human Rights Watch ha quindi condannato l’atteggiamento dei ribelli, che puntano il dito contro “le violenze commesse dal regime e dai suoi alleati per giustificare le proprie violenze nelle aree ad alta concentrazione di minoranze religiose”. Nena News